Il Parlamento congela ufficialmente il taglio dei parlamentari

Sono bastati meno di tre mesi perché la modifica dell'articolo 56 della Costituzione scivolasse nel dimenticatoio

Il Parlamento congela ufficialmente il taglio dei parlamentari

Una priorità, un dovere morale, un punto d’onore per tutte le forze politiche. Era soltanto il 21 giugno scorso quando tutti i giornali pubblicarono la notizia dell’approvazione nell’aula del Senato del ddl riforme con la conseguente modifica dell’art. 56 della Costituzione relativo al numero dei deputati. I titoli si sprecarono. Il taglio dei parlamentari sembrava cosa fatta, il cammino di una delle riforme più invocate dagli italiani vicino al traguardo, la nostra compagine di eletti riportata a numeri più logici e snelli.

Sono bastati meno di tre mesi per produrre il risultato previsto da chiunque abbia un minimo di consuetudine con le logiche del Palazzo. La diminuzione dei parlamentari - così come ogni proposta di drastico taglio agli stipendi di politici, burocrati, funzionari e pensioni d’oro - è scivolata dolcemente nel dimenticatoio, archiviata con il pretesto della riforma presidenzialista messa in campo dal Pdl (come se non fosse possibile isolare dalla discussione la questione del taglio e votarla separatamente) e congelata senza nessuna vera, feroce ribellione da parte delle varie compagini parlamentari.

L’ultima conferma è arrivata dalle parole di Pierluigi Mantini, responsabile Riforme Istituzionali dell’Udc. «Abbiamo oggi verificato in Commissione affari costituzionali alla Camera che è scaduto il tempo delle riforme istituzionali. Abbiamo avanzato proposte, denunciato i rischi e i ritardi ma il blitz presidenzialista del Pdl ha definitivamente ucciso le riforme istituzionali. Ora l’unica soluzione - conclude Mantini - è un accordo per eleggere, contestualmente alle elezioni politiche del 2013, un’Assemblea costituente con un mandato di un anno». Insomma: se ne riparla al prossimo giro e alla prossima legislatura.

D’altra parte, al di là delle periodiche sortite propagandistiche e delle promesse ripetute tra feste di partito e salotti televisivi, nessuno davvero pensava che a meno di un anno dal traguardo della legislatura si potesse procedere a quella epocale sforbiciata evocata da vent’anni e mai realizzata da governi di ogni colore. Vecchia storia, rissumibile nella consueta domanda: «Si è mai visto un cappone organizzare un pranzo di Natale?».

Anche se, per onore della verità, va ricordato che il governo Berlusconi e la sua maggioranza nel 2005 raggiunsero l’impossibile obiettivo. La riforma dello Stato messa in campo dal centrodestra prevedeva, fra le altre cose, la fine del bicameralismo perfetto, la trasformazione del Senato in un’assemblea federale e soprattutto la riduzione dei parlamentari da 915 a 770 (518 deputati e 252 senatori). Un taglio significativo di 145 unità - e un bel risparmio per le casse dello Stato - che venne bloccato dai cittadini italiani e dalla mobilitazione di tutti i partiti di centrosinistra che proposte un referendum confermativo. In quell’occasione si arrivò davvero vicino al traguardo del cambiamento della struttura dello Stato. Ma prevalse, una volta di più, il desiderio di bloccare i tagli ai costi della politica.

Un’occasione forse irripetibile affossata da alcune forze parlamentari ma anche da tanti elettori di centrosinistra, incapaci di uscire dal richiamo dell’appartenenza e riflettere sul voto che stavano apponendo sulla scheda.

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