Bersani canta vittoria sulla riforma del lavoro, che ha tagliato le unghie agli "artigli" di Confindustria reintroducendo, nel disegno di legge, il reintegro in caso di licenziamento se le motivazioni economiche sono insussistenti (a valutare è il giudice). Dice che così volevano i sindacati, le autorità morali (la Chiesa?) e l'opinione pubblica. In un'intervista all'Unità il segretario del Pd fa capire che considera blindata questa riforma. Nel senso che, dopo che faticosamente si è trovato un accordo di massima tra lui, Casini e Alfano (e ovviamente Monti), il parlamento non deve fare altro che approvare il testo.
In aula, va avanti Bersani, "serve un dibattito rapido ma serio, che faccia emergere gli elementi da rafforzare sia dal lato delle esigenze poste dalle imprese che da quello riguardante i precari, ma questo dovrà avvenire nel solco dell’equilibrio trovato, che va mantenuto". In altre parole, nessun cambiamento. Camera e Senato, dunque, devono solo ratificare quando deciso dai tre leader di partito. In barba all'autonomia dell'organo legislativo che magari, tra tante perdite di tempo, potrebbe anche riuscire a individuare qualche novità interessante da mettere sul tavolo della riforma. Invece niente, Bersani non vuole.
Ovviamente riconosce che qualche aggiustamento sia necessario, come ad esempio quello per "colmare il vuoto sugli ammortizzatori per i lavoratori subordinati e bilanciare i contributi pensionistici tra lavoro dipendente e parasubordinato". Poi c'è la questione degli esodati: "Per noi noi resta un punto dirimente". Bersani si mostra ottimista sul reintegro: "Sono convinto che il giudice, di fronte a un’insussistenza conclamata di motivazioni di tipo economico, agirà di conseguenza".
Il leader del Pd, soddisfatto soprattutto perché ha ricompattato il suo partito, mette le mani avanti e dice che "la riforma del lavoro, tuttavia, non è l’alfa e l’omega di tutta la questione. Più importante di ogni altra cosa adesso è la politica economica e come dare un po' di lavoro. Il rischio per l’Europa e per l’Italia - avverte - è l’avvitamento tra austerità cieca, recessione e mancata tenuta dei conti pubblici".
La Marcegaglia non ci sta: riforma da cambiare
"Questo testo è sbagliato, ma è il governo che ha cambiato posizione, non Confindustria". Lo dice il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, in un'intervista al Corriere della Sera. Per la leader di via dell'Astronomia la riforma del lavoro "va cambiata profondamente e se ciò avverrà il nostro giudizio potrà mutare. Altrimenti il rischio è che, per vent'anni, ci teniamo una cattiva riforma". Marcegaglia comunque non nega l'appoggio delle imprese all'esecutivo: "Noi siamo stati tra coloro che più hanno sostenuto la necessità che nascesse il governo Monti. Ribadisco che il premier ha tirato fuori l'Italia dal baratro". E ci tiene a precisare che la "riforma non tutta da buttare". Ad esempio la parte relativa agli ammortizzatori sociali piace agli industriali.
Molto meno, invece, che a finanziare gli ammortizzatori siano nuove tasse per le imprese: "Non sono una gran trovata", ammonisce la Marcegaglia. E ancora una volta la coperta sempre troppo corta per coprire tutto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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