Roma - Con Monti «perinde ac cadaver»: sicuramente fino alla prossima primavera, e - secondo Massimo D’Alema e diversi altri - anche dopo. Ma ora che il premier impugna la scure i mal di pancia nel Pd si diffondono a macchia d’olio. E non riguardano solo la sinistra interna, il solito Stefano Fassina che ogni volta che va in tv smonta la linea economica di un governo a suo dire «autistico» ma sostenuto dal suo partito («Sto guardando Fassina e mi sembra di sentire Brunetta», ha twittato ironicamente l’altro giorno il deputato Pd Roberto Giachetti); o i parlamentari torinesi Stefano Esposito e Antonio Boccuzzi che oggi non intendono votare la fiducia al ministro Elsa Fornero («Staremo fuori dall’aula, ma se il gruppo ci costringe a votare, le votiamo contro»).
Stavolta ad agitarsi sono anche i centristi, come si capisce dalla bellicosa intervista data ieri all’Unità da Peppe Fioroni: «Giù le mani dagli statali», «la spending review non può diventare il colpo di grazia per il pubblico impiego». C’è la Cisl sulle barricate a difesa degli statali, e gli amici di Bonanni nel Pd fanno sponda. Trovandosi in contrasto con un collega di partito ma di formazione Fiom, come Cesare Damiano, che ieri tuonava contro eventuali deroghe alla riforma Fornero per i dirigenti pubblici: «Sarebbe inaccettabile avere normative differenziate tra dipendenti pubblici e privati».
Il segretario Bersani detta condizioni a Monti: «Niente tagli alla spesa sociale», avvertendo che sulle proposte del governo il Pd non accetterà nulla a scatola chiusa: «Vogliamo discutere nel merito perché, dopo tanto tempo, siamo un po’ tecnici anche noi», ironizza.
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