Perché Letta-Alfano è la coppia giusta

La politica pragmatica del Cav ha portato l’Italia fuori dal caos. Ora il governo non si faccia impantanare da sterili litigi

Perché Letta-Alfano è la coppia giusta

Che cosa posso sperare? Se lo domandava Kant, il filosofo notturno di Umberto Eco, per capire la natura dell'uomo. Che cosa possiamo augurarci per il futuro della politica? È la modesta domanda, per capire il mio Paese, che mi rivolgo e vi rivolgo, dopo il «trauma» della rielezione del presidente Napolitano e dopo la nascita del primo governo di grande coalizione nella storia repubblicana (il Comitato di liberazione nazionale nacque sotto la monarchia dei Savoia, i governi degli anni Settanta erano a larga maggioranza ma l'esecutivo era monocolore dc).

Il voto aveva smentito la legge maggioritaria, non c'era maggioranza in Senato. Gli argomenti di campagna elettorale, e le cattive intenzioni, si sono dissolti come nebbia al sole. Il principio di realtà si è affermato con prepotenza, con l'aiuto di un buon maestro insediato al Quirinale e di un suo ottimo discorso parlamentare, quello della svolta. È nato il governo Letta-Alfano, troppo timido e conservatore per i miei gusti, troppo segnato da vocazioni stataliste e continuiste, dunque debole in relazione alla crisi internazionale e italiana, ma era l'unico possibile. Bersani ne è uscito schiacciato, e con lui il Pd. Berlusconi ha vinto. Grillo e Casaleggio vivacchiano inutili ai margini del sistema, e gridano, rumoreggiano in vari modi, insultano, espellono, si lamentano da pusilli per le violazioni della privacy postale dopo aver fatto fortuna con la violazione della privacy di ogni genere ai danni dell'Arcinemico eccetera.

A questo punto, che cosa possiamo augurarci? Molti lettori di destra dovrebbero essere paradossalmente insoddisfatti della vittoria di Berlusconi. Il Cav ha perso sei milioni di voti dal grande picco del 2008, pur arrivando dietro di un'incollatura al Pd che ne ha persi tre partendo da un picco minore. Governa con Monti, che in campagna elettorale era l'idolo da detestare, e con il barbaro e secolare nemico antiberlusconiano associato da vent'anni, nella caccia all'uomo, con la sinistra ex dc, entrambi spinti da carognaggini giudiziarie e abusi moralistici dei soliti noti della lobby neopuritana. Camere, Quirinale, governo: sono tutti dei loro, per esprimermi in modo sciatto e semplificatorio, ma chiaro. La crisi italiana ed europea resta acuta, e bisogna pure farsene carico perché certe promesse elettorali efficaci ma azzardate non saranno mantenute, e un ridimensionamento della tassa sugli immobili potrebbe portare una discreta misura di sollievo a una parte del ceto popolare e medio, ma nulla di più.

Eppure il popolo «di destra» (usiamo convenzionalmente una parola corrosa dalla storia politica) sta messo assai meglio di quello «de sinistra» (uso la locuzione in romanesco perché rende bene il senso di una sinistra piccola, vernacolare). E voi, lettori, sapete benissimo perché soffrite meno del cittadino sinistro della porta accanto. Berlusconi ha agitato tanti fantasmi ideologici negli anni, ed era necessario, ma al principio di realtà, «fa' quel che puoi nelle condizioni date e i tuoi sogni più folli non cancellino in te la prudenza e la sensatezza dell'azione», non ha mai rinunciato. Cosa che invece ha fatto, con conseguenze catastrofiche, il «pragmatico» Bersani, con tutta la sua Piacenza e il mito della pompa di benzina. Invece di dire: elezioni o governissimo, Bersani si è intestardito a promuovere un impossibile governo del cambiamento solitario e senza i numeri. Berlusconi e su un altro piano Napoletano lo avevano avvertito; ma non c'è stato niente da fare, l'apprendista stregone è rimasto vittima delle retoriche non sue, quelle dell'antiberlusconismo più fanatico e losco. Per questo tu, lettore di destra, sai bene che Napolitano e il Cav sono usciti con autorevolezza e dignità politica dal grande caos, Bersani ne è rimasto sommerso.

Ora l'unica cosa seria che possiamo augurarci è che il governo risultato di questa esplosione di realismo abbia successo. Che si faccia venire la voglia di intraprendere una seria riforma dell'economia, invece di litigare sui dettagli e sulle cretinerie. Che capisca quanto sia necessario mettere in grado imprese, famiglie e individui di cavarsela cambiando il modo di intraprendere, lavorare, consumare e vivere. Meno tasse, meno spesa pubblica, rinunce commisurate alla serietà della situazione debitoria del Paese, alla necessità di stare dentro il ciclo storico della moneta unica, e molto lavoro fuori e contro la logica di protezione immobilista, e di stagnazione e improduttività del sistema, promossa dalla Cgil e dalla Confindustria unite nella celebrazione del più ipocrita primo maggio di sempre.

Bisognerà litigare con la Germania cercando di imitarla e di emularla nella vocazione alle riforme e alla disciplina sociale, e piantarla con le faziosità ideologiche e gli sbandieramenti senza costrutto. Tocca ora al popolo di destra farsi buon maestro di realtà, come ha fatto, in condizioni di eccezionali difficoltà e dopo una campagna masaniellesca brillantissima e spericolatissima, il suo volubile principe.

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