Roma - Bersani brucia tutti sul tempo. È suo il primo manifesto elettorale per le politiche di febbraio. Dal suo profilo su Twitter il leader dei democrat ha lanciato lo slogan «L'Italia giusta». E lo ha fatto in corrispondenza dell'apertura dei seggi in nove regioni dove ieri si sono svolte le primarie per le liste degli aspiranti parlamentari della prossima legislatura (in attesa dei risultati che si avranno soltanto questa sera quando verranno scrutinati i «desiderata» del popolo della sinistra nelle restanti undici regioni).
Sono giorni ormai che Bersani continua a ripetere che il suo partito ha scelto di operare alla luce del sole grazie al metodo delle primarie. Una puntualizzazione che fa riferimento alla riunione «carbonara» dove Monti ha praticamente preparato e scelto la sua «squadra politica» lontano da occhi indiscreti. Peccato che le primarie per la scelta dei candidati delle politiche avvenga prima della pubblicazione del listino «protetto», vale a dire quell'elenco di intoccabili che correrà all'ombra del segretario. Il responsabile amministrativo del Pd, Nicola Stumpo, ha già chiarito che gli sconfitti illustri delle primarie non saranno ripescati nel listino. Resta comunque il dubbio su quali siano i criteri per la compilazione di questo listino «blindato».
Intanto c'è da registrare un mezzo flop. Nelle nove regioni dove ieri si è votato l'affluenza è stata bassa. In alcune regioni non si è raggiunto nemmeno la metà dei votanti del ballottaggio che contrappose il segretario (poi vincente) al giovane antagonista Matteo Renzi. A Torino ad esempio, governata attualmente dall'ex segretario del Pd Piero Fassino, alle 17 di ieri aveva votato soltanto il 25 per cento rispetto al ballottaggio del 2 dicembre scorso. E non sono dati da sottovalutare visto che il rigido regolamento di queste primarie concedeva il voto soltanto agli iscritti al partito e a chi già aveva partecipato alle primarie per la leadership del centrosinistra. Non va meglio a Milano dove, sempre alle 17, avevano votato in media 80 elettori a seggio. In Abruzzo si è registrata una debacle altrettanto evidente. Alla stessa ora avevano votato 17mila persone contro le 36mila del ballottaggio tra Renzi e Bersani. Come dire: meno della metà. Ancor più bassa l'affluenza nel capoluogo ligure con 10mila votanti contro i 36mila del 2 dicembre (meno di un terzo).
Insomma, quasi una falsa partenza per l'imminente campagna elettorale, quella di Bersani e compagni. Tanto che lo stesso ex avversario Matteo Renzi si è sentito in dovere di spronare i militanti al voto lanciando ieri mattina un accorato appello.
Quasi tutti nel partito, tranne chi di fatto sa già che sarà nella «quota protetta» del 10 per cento, si sono messi in gioco, rischiando la candidatura: dai decani, che hanno ottenuto la deroga per il limite dei tre mandati, come Anna Finocchiaro e Rosy Bindi, che corrono però «fuori sede» a Taranto e Reggio Calabria, ad alcuni membri della segreteria Pd, come Stefano Fassina e Matteo Orfini in corsa a Roma. Il rischio esclusione è alto per i parlamentari uscenti, sfidati da molti esponenti che sul territorio hanno grandi bacini territoriali.
Chi ha già perso invece è
Giorgio Gori che è uscito sconfitto dalle primarie del Pd a Bergamo. L'ex direttore di Canale 5 e spin doctor di Matteo Renzi ha preso solo il 13% dei voti. Almeno tre candidati hanno fatto meglio di lui. Peggio di così...- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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