Mario Monti farà bene a guardarsi dai parassiti. In politica è come in microbiologia. I parassiti sono patogeni, ti fanno ammalare. Dirsi grati a Monti, perché ha fatto anche molti errori, ma ha dato una mano al suo Paese in un momento complicatissimo, è buona e onorevole cosa, secondo me. Tuttavia Monti non è un angelo custode della nazione né pretende di esserlo, perché è un uomo intelligente, ironico, consapevole, dotato di senso del limite. Monti è un animale politico impuro, come siamo tutti, è un campione del potere accademico e intellettuale e finanziario e burocratico fattosi uomo di Stato in circostanze d’emergenza e per decisione dall’alto. La sua personalità asciutta, eticamente inattaccabile, non ne fa una figura angelicata, è il primo a sapere che alla sua parabola pubblica manca il crisma decisivo che François Mitterrand chiamava onction démocratique ,
l’unzione democratica ovvero la benedizione elettorale di un delega che incarni la sovranità popolare. Berlusconi e Prodi, unici a vincere le elezioni maggioritarie dalla fine della prima Repubblica a oggi, possono avere molte responsabilità nella deriva del Paese, ma in questo ovviamente gli sono superiori.
Monti lo sa. Alla insistente domanda sulla sua disponibilità a ripetere l’esperimento tecnocratico dopo la primavera del 2013, quando la legislatura sarà rinnovata con le elezioni politiche, ha sempre risposto che di una nuova supplenza non ci dovrebbe essere bisogno, perché lui non si candida alle elezioni e il Paese saprà trovare una soluzione che esprima le decisioni del popolo nel voto. Impeccabile. Poi ha creduto opportuno, di fronte a una platea di mercato finanziario e industriale, all’estero, sbarazzarsi in altro modo della solita insistente domanda sul 2013 e la continuità dell’agenda programmatica Monti, che interessa e incuriosisce gli ambienti economici e finanziari internazionali: bé, ha detto in sostanza, se si determinassero certe singolari circostanze, e i partiti me lo chiedessero, non mi tirerei indietro. Impeccabile anche questo, perché ovvio: se non ci sia una maggioranza e un nuovo premier con la sua squadra pronto a rilevare i tecnici, a parte il contributo che in molti altri modi Monti può dare ( magari come garante generale del sistema nella funzione di presidente della Repubblica), non avrebbe senso che lasciasse il campo, e chi s’è visto s’è visto, è naturale che il premier in carica debba cercare una maggioranza di unità nazionale intorno al suo nome, se richiesto di farlo.
Ma i parassiti si annidano nell’ovvio. E con la loro banale avidità di consenso, ricercato senza faticare, senza spendersi per guadagnare la vittoria in proprio con una leadership e con programmi seri, si annidano nell’organismo sano di Monti e tendono a inquinarlo, a farne quel che non è, a trasformarlo in una figurina di leader moderato buono per tutti gli usi e per tutte le circostanze politiche, un piccolo idolo centrista. Ma è assurdo, è un atto di pigrizia e di vanità e velleità politica, è una logica rinunciataria e ristretta, per non dire meschina, ed è contrario sia all’interesse del paese sia a quello di Monti e della compagine di governo in carica dal novembre scorso.
La forza di questo primo ministro inventato con fantasia in un momento critico estremamente pericoloso è nella sua atipicità. Nelle idee e nei comportamenti, l’ex rettore dell’università Bocconi è sempre stato attento a non farsi mettere altre ipoteche che non siano quelle del mondo da cui proviene, accademia, banche, industria e grandi giornali.
Ha avuto successo politico ed è riuscito a incollare i pezzi rotti di una maggioranza impossibile, quella che rilevò un anno fa i vincitori delle ultime elezioni ormai alla deriva insieme con una opposizione incapace di alternativa, proprio perché aveva saputo mantenere queste distanze chiare da tutto e da tutti, senza perdere il carattere di grande notabile della Repubblica, di riserva del sistema, e senza affondare nei facilismi dell’antipolitica, anzi, considerandosi il successore di Berlusconi in carica per il governo a termine di un’emergenza nazionale.
Sarebbe suicida per lui e per la sua esperienza farsi ipotecare adesso, e malamente, da gruppi e partiti che hanno bisogno di copertura politico- istituzionale e di voti. Si guadagnino i consensi per governare allo scoperto, piuttosto, e cerchino di essere persuasivi e responsabili in proprio.
Che i partiti facciano i conti con Monti e si pongano il problema di utilizzare il suo nome e la sua opera come una risorsa è comprensibile e giusto, ma che agitino Monti come una bandiera di partito (l’ultimo ad averlo fatto e nel modo più grossolano è Gianfranco Fini) è grottesco.
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