Per alcuni è un gioco nel gioco, una filosofia letteraria, un esercizio di stile. Come nel caso di Fernando Pessoa, che si inventava uno pseudonimo dopo l'altro. O come per Cristina Campo, che del nascondersi Sotto falso nome (come hanno poi intitolato un suo volume, postumo, da Adelphi) aveva fatto quasi un principio, mossa dalla ricerca dell'essenzialità e dalla sacralità dell'arte e della parola. Lei che nemmeno era Cristina Campo, ma Vittoria Guerrini, eppure si nascondeva sempre, per non inseguire il successo a nessun costo.
J.K. Rowling è un'altra storia. Quando e come abbia pensato di chiamarsi all'improvviso Robert Galbraith, ex militare impegnato in questioni di sicurezza e autore di The Cuckoo's Calling (Il richiamo del cuculo), non l'ha spiegato, ma la sua sembra soprattutto una operazione (geniale, ma questo si è scoperto solo alla fine) di marketing al contrario: in un mondo in cui essersi «fatto un nome» è il vero successo, e lei ormai si era fatta un supernome, la signora del maghetto ha abbandonato la via sicura del business, grazie alla garanzia semplice e inattaccabile della sua firma, per tentare una avventura nuova, con tutt'altro nome, quello di un maschio. E in tutt'altro genere letterario, il giallo. Certo la trovata non manca di ironia, e le fa onore, anche se la malizia dice che, forse, camuffarsi fosse una tutela, contro eventuali critiche massacranti. Lei stessa ha ammesso che è stato «liberatorio» e «meraviglioso» poter pubblicare un libro «senza il clima di grandi aspettative». Ma sarebbe potuta andarle male ed essere poi comunque smascherata, quindi: ha rischiato. E le è andata prima bene, poi benissimo: perché le critiche iniziali sono state tutte positive, anche se da aprile il libro aveva venduto solo mille e cinquecento copie; e perché, da quando il Sunday Times ha rivelato l'identità di Robert Galbraith, le vendite sono aumentate, copia più copia meno, del cinquecentomila per cento.
Siccome spesso ai divi, come J.K. nel suo ambito, è imputato di sfruttare il successo e pubblicare (o girare film, o incidere album) a nastro, sulla scia della fama e della benevolenza già acquisita presso il pubblico, la risposta della Rowling è stata netta: come vedete, mi elogiano anche se non sanno che sono io. Io, la donna che era povera, poverissima tanto da scrivere in un pub di Edimburgo e poi, inventandosi il mondo di Hogwarts e i suoi eroi magici, è diventata più ricca della Regina d'Inghilterra. Solo grazie ai libri (e poi ai diritti, al merchandising, ai film, etc.). Una che ha imparato a dirigere il marketing da maestra, attenta ai soldi ma pronta a giocarsela: e a rivincere. Perché ora, scoperta la verità, come è logico è stata doppiamente premiata dal successo. E lei stessa ha definito «puro piacere» il «ricevere un riscontro sotto un altro nome, da vera signora, da vera letterata.
Del resto i nomi sono faccenda delicata, anche il Signore Oscuro è Colui che non può essere nominato, anche J.K. (la sua firma) è un mezzo pseudonimo perché il suo nome è Joanne, ma alla casa editrice pensarono che quelle iniziali, da sole, facessero pensare a un autore maschio che sarebbe piaciuto di più al target (i ragazzini). Una signora che l'ha preceduta sulla sua isola, Agatha Christie, quando già era la regina del giallo si rinominò Mary Westmacott per scrivere una serie di romanzi d'amore (lo rivelò solo una ventina di anni dopo, non tre mesi dopo come la Rowling, ma il marketing oggi impone altri tempi). Stephen King, pure lui già famoso, pubblicò quattro romanzi come Richard Bachman, giusto per vedere che cosa sarebbe successo, e anche perché era troppo prolifico. Prince, altro mago del marketing, a un certo punto si è rivenduto sotto vari pseudonimi, sempre per amore dell'arte che si reinventa e non si adagia mai sui suoi allori, e intanto macina altri milioni. Salvatore Fiume si firmò come Francisco Queyo, pittore spagnolo immaginario, per ottenere recensioni migliori. Il successo ridondante di J.
K. Rowling dimostra che chi si mette alla prova e sfida le regole (con basi solide soprattutto) può ancora stupire. E sì, Cristina Campo inorridirebbe, ma solo perché non ha letto Harry Potter.blog.ilgiornale.it/barbieri
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