Quante somiglianze tra i monologhi dello scrittore e il libro di Giampiero Rossi

Quante somiglianze tra i monologhi dello scrittore e il libro di Giampiero Rossi

Vittime del copia e incolla savianesco. Giornalisti precari, scrittori affermati, inviati speciali, prime firme di settimanali. Ce l’hanno tutti con Roberto nostro da Gomorra. Lo accusano di saccheggiare i loro lavori senza citare mai la fonte, senza degnarli nemmeno di un ringraziamento a pie’ di pagina. L’ultimo della serie si chiama Giampiero Rossi, ex Unità, autore di libri sulle morti di amianto a Casale Monferrato.
In una lettera al Fatto quotidiano, Rossi ha messo a confronto quello da lui pubblicato nei testi La lana della salamadra e Amianto. Processo alle fabbriche della morte e i passaggi del monologo di Saviano durante lo show su La7, ed è arrivato a una conclusione: il Signore degli Appelli ha copiato. Non solo intere frasi, ma anche dettagli, ambientazioni, particolari di storie che la star antimafia ha raccontato in diretta tv e che sono presenti solo e soltanto nei libri di Rossi. Che, a dire il vero, la vicenda del copia-e-incolla, l’ha presa (quasi) sportivamente. Salvo ammettere: «Caro Roberto, mi fa piacere che certe immagini siano risultate valide anche per il tuo racconto televisivo, però ti chiedo: cosa accadrebbe se domani in un mio libro, o in un articolo utilizzassi frasi, immagini ed episodi tratti da Gomorra amalgamandoli a un mio scritto senza dire che li ho presi da un tuo lavoro?». Leggere per credere. Giampiero scrive: «Una fibra di amianto liberata a un metro di altezza, infatti, può impiegare anche 24 ore prima di toccare il suolo». E Roberto recita: «Una fibra di amianto che galleggia a un metro di altezza impiega anche un giorno intero prima di posarsi sul suolo». E così di seguito. Sono nove i casi di presunto «plagio» scovati alla moviola durante lo spettacolo con Fabio Fazio. E nemmeno il riferimento ai testi di Rossi nel videoclip, trasmesso durante il monologo, sono sufficienti per chiudere la polemica. «Ci sono questioni più gravi e più serie, certo, ma almeno tra chi si spende per importanti battaglie etiche e culturali ci si attende condotte coerenti – ha scritto l’ex Unità - in questo caso “la macchina del fango” non c’entra. È solo una questione di correttezza. So bene anche che la televisione ha le sue regole: ma esistono mille modi per rispettarle e al tempo stesso non calpestare altre regole deontologiche e diritti altrui”.
Le accuse di plagio a Saviano sono tutt’altro che una novità. All’uscita di Gomorra, i giornalisti dei quotidiani campani Cronache di Napoli e del Corriere di Caserta riscontrarono ben più di una somiglianza sospetta tra i loro articoli e alcuni passi del bestseller. Tanto che la Mondadori, dall’11esima ristampa, per non essere trascinata in tribunale, dovette inserire il nome di un coraggioso cronista napoletano, Simone Di Meo, cui Saviano aveva razziato l’intero archivio (riportando pari pari in Gomorra frasi di suoi pezzi) sulla faida di Secondigliano. Un po’ com’è capitato ai giornalisti albanesi di Investigim, che dopo avergli passato notizie sui rapporti tra clan e 007 albanesi non sono stati citati come fonte. E ancora. Un giornalista di Oggi, Andrea Amato, nel 2009, firma un’inchiesta sulla ‘Ndrangheta. Poi su Repubblica compare un reportage di Saviano sullo stesso tema. Amato lo legge e racconta al blog di Pierluigi Diaco: «Sono onorato che Saviano su Repubblica abbia ripreso un mio articolo, pubblicato su Oggi il 25 febbraio. Ma quando usa il lavoro di altri dovrebbe almeno citare le fonti, altrimenti viene il sospetto che se ne stia appropriando». Per una vicenda simile, il giornalista Gianluigi Nuzzi gli ricordò poco tempo dopo: «Non ci ha citati, peccato. Era un’occasione per mettere a tacere chi l’accusa di fare copia-incolla degli articoli di giornalisti, magari locali che si infilano nei vicoli della camorra per capire e scrivere. Senza scorta».
Tutte malelingue messe a tacere dall’ultimo scoop di Saviano: un narcos legato ai clan ospite in una trasmissione su Rai2. Che colpo! Macché, l’aveva scritto il Roma di Napoli due anni prima, e San Roberto, s’era scordato di ricordarlo.

E quando la memoria non l’aiuta talvolta è costretto a lettere riservatissime di scuse (al consigliere del Pdl Magliocca a cui diede infelicemente del camorrista) o a vendicarsi delle critiche mandando avanti i suoi avvocati per citazioni milionarie. Dal copyright della lotta (letteraria) alla camorra al copia&incolla della stessa.

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