Che poi, diciamoci la verità: a uno come Franco Fiorito, «er Batman» della Ciociaria - ma lui preferisce farsi chiamare «er Federale», non fosse altro perché l'orbace è più clemente con la sua silhouette rilassata della tutina aderente col pipistrello, anche se è vero che il nero sfina - saranno piaciuti di più quei dodici-bignè-dodici allo zabaione mangiati tutti d'un fiato in una scena che a noi pare il climax letterario di questa brutta faccenda che tutte quelle ostriche sbafate a spese del gruppo del Pdl alla Regione, e quindi a spese nostre. Ce lo suggerisce la stazza dell'ex capogruppo, che non può essere tracimata per colpa di frutti di mare e crostacei, notoriamente a basso impatto calorico. Fiorito e quelli come lui le ostriche le ordinano, assieme allo Champagne, non per passione ma perché così si fa quando non devi preoccuparti del conto, perché sono uno status symbol un po' impolverato ma sempre efficace: fines de claire e belon su vassoi larghi come pallet e crepi l'avarizia. Al massimo, se quando esci dal ristorante malgrado il conto a quattro cifre hai ancora un po' di languorino (il pesce, si sa, è bbono ma non sazia) ci può sempre fa' du' spaghi a casa, con un tovagliolo al collo che immaginiamo grande come la vela di Mascalzone Latino (che nome perfetto!). Francesco Battistoni, il suo grande accusatore, è invece un vero habitué del ristorante «Pepenero» a Capodimonte, sul lago di Bolsena, celebre per la tagliata di tonno. Qui riesce a spendere in un'occasione 5mila euro (ma lui dice solo 4mila) per una cena con 80 persone in un locale che ne contiene 40. Qualsiasi cosa abbiano mangiato gli ospiti, non sono stati comodi.
Ciò che colpisce della ristorantopoli alla laziale è che nel peregrinare da un tavolo all'altro nelle sere romane, mai Fiorito&Co si siano imbattuti anche solo per caso in un locale gourmet, di quelli con le stelle Michelin, di quelli in cui i conti astronomici sono abituali e in fondo anche giusti. Batman preferisce spendere 8mila euro per cene da «Pasquino» o «Celestina», locali onestissimi, intendiamoci, ma senza maître compassati e sommelier intimidatori che, diciamocelo, non mettono a loro agio i tipi alla Fiorito. Quindi, meglio la sicurezza neocafona del pesce crudo, che evita di dover dribblare menu con piatti lunghi tre righe e fa il suo effettaccio. Al massimo, un filetto in crosta di sale o un risotto allo champagne, così anni Ottanta. Insomma, a noi ignari pagatori delle cene dei consiglieri laziali, nemmeno la soddisfazione di aver almeno contribuito alla loro educazione gastronomica.
E in fondo anche gli altri, quelli del Pd, quelli «diversi» (dicono loro), non hanno gusti più raffinati. Ma qui forse subentra l'atavismo di decenni di salsicce alle feste dell'Unità. Ci vuol tempo e abitudine anche per i vizi. I loro convegni, i loro incontri elettorali, finiscono sempre in qualche magnata in ristoranti di provincia con tanti coperti, cresimifici come La Foresta (8.470 euro per un gustoso convegno il 18 marzo 2011) a Rocca di Papa, paese di Carlo Ponzo, consigliere regionale del Pd e presidente del Corecoco, il comitato di controllo contabile ignaro delle spese pazze dei gruppi. E come al Borghetto d'Arci di Fara Sabina, o da Pietro a Passo Corese o al Bersagliere di Colonna.
Ben altri gusti aveva Luigi Lusi, il senatore del Pd che, da tesoriere della Margherita, è accusato di aver sottratto 23 milioni di euro dalle casse del suo partito. Oggi si nutre del pane scuro e delle marmellate «bio» di un convento abruzzese, ma quando era sulla cresta dell'onda lui sì che sapeva scegliere come mangiarsi i soldi dei cittadini. Non solo a Roma, patria di tutte le mangiate a sbafo, ma anche in Liguria: qui Lusi viene segnalato ospite del gruppo del Pd alla regione in una cena a base di tartufi. Sciocchezzuole in confronto al suo capolavoro gastronomico, gli spaghetti al caviale consumati nel novembre 2006 alla «Rosetta» di Massimo Riccioli, il migliore ristorante di pesce del centro di Roma: probabilmente il primo piatto più celebre della storia repubblicana, non fosse altro che per il prezzo, 180 euro a porzione. La cena è completata con ostriche (aridàje!), tartufi di mare, antipasti misti e pescato del giorno, per un conto finale di 600 euro in tutto. Neanche tanto, visto l'approccio. C'è da dire che «La Rosetta» era molto amata anche da Piero Marrazzo: una cena per due da 404 euro viene pagata con una delle otto carte di credito a disposizione dell'allora presidente del Lazio e del suo staff. Dal rendiconto delle carte di credito del presidente poi travolto dallo scandalo dei trans spunta anche una cena da 279 all'«Antico Arco» al Gianicolo, innaffiata da champagne. «Le ostriche giravano già prima di me nella regione Lazio», ha constatato amaramente Renata Polverini lasciando la Pisana, nel cui stemma ormai dovrà trovare posto oltre all'aquila della provincia di Roma e ai leoni ciociaro e viterbese anche il pregiato mollusco.
Un altro buongustaio in quota Pd è Filippo Penati, che da candidato del centrosinistra alle elezioni Regionali del 2010, si mostra grande appassionato di pesce fresco, facendosi rimborsare cene nei migliori ristoranti di mare a Milano: 232 euro per quattro persone al «Porto» di piazzale Cantore, 250 euro da «Sorrisi e baci» di via Modena, 63 per un pranzo alla trattoria «Bagutta».
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