Quell'ipocrisia di mamma Mori sulla figlia gay

Si autocelebra come genitore e dimentica quando disse a Rosalinda: "Meglio una stanza vuota che una lesbica"

Quell'ipocrisia di mamma Mori sulla figlia gay

L'unica cosa che sembra dimenticare Claudia Mori in questo outing nell'outing è sua figlia Rosalinda. Nell'intervista rilasciata ieri al Corriere della Sera la produttrice parla, in esclusiva, del suo essere madre di una donna gay. Ma sembra che la prima ad aver bisogno del coming out sia proprio lei: la moglie del Molleggiato. E in questo suo sfogo autocelebrativo («Per noi non cambiava nulla ma temevamo per lei, per l'ignoranza e le discriminazioni di questa orrenda società becera... Adriano è stato fantastico perché ha aggiunto amore e attenzioni... Chi sono io per giudicare?! vorrei solo aiutare altri genitori come me... i figli bisogna amarli come sono...»), c'è qualcos'altro che la Mori scorda: la versione di Rosalinda rilasciata a Vanity Fair solo una settimana prima. Ricostruendo la prima confessione in casa, all'età di diciotto anni, circa le sue preferenze sessuali, Rosalinda racconta al settimanale: «Oggi i miei hanno fatto un salto in avanti, soprattutto dopo che sono finita in comunità, ma a 18 anni dovetti scappare di casa.

Mia madre era autoritaria, severa. Mi sorprese a baciare un'amica. Pianse, mi chiese dove avesse sbagliato, disse: piuttosto che una figlia “così” - ma usò quel termine per me orrendo che è “lesbica” - meglio una stanza vuota. Disse pure che a darmi il resto ci avrebbe pensato mio padre in villa. La punizione fu dura. Mi consegnò anche una lettera di venti pagine che partiva da Adamo ed Eva e dalla religione per decidere che ero un'anormale».

Assieme alla sua terzogenita, quindi, la Mori dimentica altro. Oggi che Rosalinda ha una compagna che vorrebbe sposare (l'attrice Simona Borioni, mamma di un figlio, Samuele), oggi che quella sua tormentata figlia più piccola ha finalmente fatto pace con se stessa, abbandonando gli ettolitri di vodka, l'eutolesionismo, Schopenhauer, l'amore cosmico che per anni ha fatto fatica a incanalare dove avrebbe voluto, la magrezza cattiva, quella paralizzante sensazione di sentirsi abusiva ovunque. Oggi che a fatica Rosalinda si è rappacificata con chi non aveva il coraggio di essere perché: «I nostri genitori ci hanno avuti troppo presto. Ricordo l'odore della pelle di una tata, Celestina, e poco quello di mia madre, perché quando sono uscita dall'incubatrice un problema di salute l'ha costretta solo a guardarmi. La mancanza d'amore fa disastri, per questo da ragazzina leggevo Schopenhauer e mi tagliavo. Fino a Simona sono stata autodistruttiva, piena di cicatrici, compresse e vodka, sempre più vicina al di là che al di qua. Se sono rimasta in piedi, è stato per incontrarla».

Nelle tante righe messe a sua disposizione dal quotidiano, la signora Mori-Celentano schiaccia ancora Rosalinda nel cono d'ombra, la prende a pretesto «con lei avrei dovuto aprirmi di più», per autocelebrare se stessa, per uscire (lei) allo scoperto, per addomesticare una realtà a suo favore. Quando forse avrebbe aiutato di più gli altri genitori «come lei» e la stessa Rosalinda, ammettendo, raccontando, che certe prese di coscienza ti arrivano in faccia come bombe d'acqua: lasciandoti in apnea. E che spesso, in affanno, si reagisce male, si colpisce senza volere, si diventa cattivi per paura. E c'è un momento in cui si è inutile a chi è in difetto d'amore.

Fortuna che oggi è arrivato il momento di Rosalinda e della sua pace. Con Simona. «Oggi Rosalinda, guardandola, ritorna bambina, quando dalla fenditura della porta del bagno guardava la madre che si truccava gli occhi così uguali ai suoi. “E volevo essere quel rimmel”».

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