Da reaganiano a solidale, quante riforme

Lavoro, fisco, salute: così l’uomo di governo ha trasformato il consenso in provvedimenti concreti

Da reaganiano a solidale, quante riforme
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Tra le mille identità che Berlusconi seppe tenere dentro di sé, una delle più importanti, anche se spesso misconosciuta, è stata quella di uomo di governo. Non solo perché, statistiche alla mano, fu colui che, nella storia d’Italia, con Agostino Depretis e Giovanni Giolitti prima del fascismo, e con Alcide De Gasperi, Aldo Moro, Amintore Fanfani e Giulio Andreotti poi, è stato più a lungo presidente del Consiglio. Ma anche perché, per lui, il fine dell’azione politica doveva coincidere con quella di governo: era necessario vincere le elezioni (le vinse quasi tutte) per poi poter governare. Non per occupare semplicemente il potere. Da qui l’idea contrattualistica, liberale per definizione, del rapporto tra elettori e leader: al di là delle metafore «sacrali», da lui stesso a volte utilizzate, nella sua concezione, il capo doveva onorare un contratto, come plasticamente mostrò in una delle sue trovate mediatiche più geniali, la firma sulla scrivania da Bruno Vespa. Così i quattro governi Berlusconi di riforme ne fecero: Renato Brunetta nel 2017 ne contò 40. Qui ricorderemo, un po’ alla rinfusa, la legge Bossi-Fini sull’immigrazione, oggi invecchiata, ma all’epoca efficace, tanto che poi i governi di sinistra non la toccarono. La legge Biagi, che rese più dinamico il mercato del lavoro. I diversi interventi di riduzione o di eliminazione di tasse, come l’imposta di successione e l’Ici. Ma anche leggi cosiddette «social», come quella intitolata a Bobo Maroni, sulle pensioni oppure l’aumento delle pensioni minime. E leggi diciamo così di responsabilità individuale: dalla introduzione della patente a punti alla Legge Sirchia che ha vietato il fumo nei luoghi pubblici. E, a proposito di Sanità, l’intreccio virtuoso tra quella privata e quella pubblica, è un lascito di diversi interventi dei governi Berlusconi. Così come l’eliminazione della leva militare obbligatoria, una misura presa anche da altri paesi nello stesso periodo, che andava nella direzione della modernizzazione del rapporto tra individuo e Stato.

Modernizzazione e internazionalizzazione che caratterizzarono altri importanti interventi, sulla università, prima con il ministro Letizia Moratti, nel secondo governo Berlusconi, poi nella più organica riforma firmata da Mariastella Gelmini, nel quarto e ultimo governo guidato dal Cavaliere. A dimostrazione che, contrariamente a quanto sosteneva la sinistra, Berlusconi non era l’incarnazione del mercante che pensava solo all’arricchimento individuale. In tutti i suoi esecutivi, la preoccupazione per l’educazione del cittadino, e, nel caso della Università, per la sua democratizzazione, fu centrale. Modernità, solidarietà e libertà: questo il trittico entro cui si potrebbe racchiudere l’attività legislativa dei suoi quattro governi, al di là dei mutamenti del messaggio berlusconiano, più «reaganiano» all’inizio, più «solidale» a partire dalla fine del primo decennio del nuovo secolo. Libertà però vi rimase la parola chiave: tanto che tutte le riforme che abbiamo rapidamente elencate, avevano come obiettivo rendere l’italiano più libero, dallo Stato prima di tutto. Libero e responsabile. Per questa la madre di tutte le battaglie, cioè di tutte le riforme, fu quella della giustizia. Una contesa che il Cavaliere non riuscì a portare a termine, anzi di cui fu personalmente vittima (chi ricorda che fu ignominiosamente cacciato dal Parlamento?), anche se le leggi sulla giustizia introdotte nel corso degli anni hanno comunque instillato elementi di garantismo, in un sistema che, dopo Tangentopoli, era l’apoteosi della forca.

Molte altre misure restarono incompiute, a cominciare dalla riforma appunto dello Stato.

Quella istituzionale, sconfitta da un referendum, che però non fu difeso neppure dai suoi alleati. Quella della burocrazia, l’alleggerimento dello Stato, e del debito pubblico.

Ma bisognerà pur ricordare che i governi Berlusconi furono tutti di coalizione, e che egli lasciò sempre molto spazio ad alleati che spesso non lo assecondarono. E che anzi, alla fine, nel 2011, contribuirono alla sua caduta. Ma questa è un’altra storia.

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