La poltroncina gli va stretta, e si vede: si dimena, si sbraccia, fa spallucce, fa boccacce. Amoreggia spudoratamente con il popolo, soprattutto con gli anziani, «la nostra generazione deve ricostruire tenendosi per mano a voi, che l'avete fatto in tempi ben peggiori». E quindi ride, irride (anche se stesso), imita, fa vocine e vocione, ruba il tempo delle battute a Enrico Mentana, che pure del campo è il riconosciuto speedy gonzales.
Un cane abbaia insistente dai bordi del palco della festa del Pd al porto antico di Genova. «Un sostenitore di Cuperlo», dice lesto. «Lessi?» fa da spalla Mentana. «Sì, ma sia chiaro che torna a casa Letta lo dice lei, non io», replica trascinando il pubblico per l'ennesima volta all'entusiasmo. Questo è lo stile di Matteo, la pop star - essendo Renzi ormai un pleonasmo solo per i pochi non «uomini di mondo». Un campione nel genere, e la gran folla che lo accoglie non è affatto pentita, lo show vale il prezzo del biglietto, anche se qui è metaforico: una poltrona, quella del partitone romano che ormai pende dalle labbra del suo «oriundo», il Fiorentino. Il Pd sta ormai cedendo, crolla sotto il peso dei propri errori, della propria insostenibilità, e finirà in ginocchio da Matteo, capace di risollevare gli animi e proporre il rovesciamento del buonumore a un partito «sfiduciato e depresso», proprio come l'Italia. Iperbolicamente il sindaco di Firenze parla di «rivoluzione radicale» in economia, «perché non basta qualche manovra col cacciavite», ma ufficialmente rompe anche gli indugi: i frutti son maturi, tra settembre e 7 novembre (data preferita) si va alla vendemmia: basta che Epifani comunichi ste' benedette regole. «Guidare il Pd? Io un pensierino ce lo sto facendo, s'era capito... Sono disponibile, ma poi decidono gli elettori. Il punto non è quello che faccio da grande ma quello che facciamo insieme per un partito che non sbagli il calcio di rigore a porta vuota ma che torni a vincere». Il concetto è chiaro e sarà ripetuto più volte, come tecnica di spogliatoio calcistico impone: «De Coubertin va rottamato... Io di una sinistra che perde non so che farmene, voglio una sinistra che governi!».
Per rincuorare il partito non è certo sufficiente, Renzi lo sa. E dunque alterna risate a strigliate, ridendo castigat mores. «Basta parlare di Berlusconi, non è possibile che ogni giorno ci sia un referendum su di lui. Possiamo parlare dei nostri figli e non della decadenza del Cavaliere?». La sua posizione al riguardo non è cambiata, cerca di spiegare: «Un garantista non considera Berlusconi colpevole alla prima o seconda sentenza, ma ora la condanna è passato in giudicato. Io sono rimasto nello stesso posto prima, è lui che è stato condannato. Contestare la condanna in Cassazione vuol dire contestare le istituzioni». Chiarito questo, Renzi vuole che «la si smetta di avere la puzza sotto il naso verso chi l'ha votato» perché lui punta ai voti di tutti, «dei delusi del centrodestra, dei Cinquestelle ma anche dei delusi dello stesso Pd». Tornano alla mente le occasioni perdute: se gli avessero concesso le primarie aperte «avrei perso lo stesso, ma poi avremmo vinto le elezioni perché invece così abbiamo mandato via delle persone». Le elezioni si vincono sul coraggio, non sulla paura, insiste, e «se in campagna elettorale avessimo pensato un po' meno a smacchiare il giaguaro e un po' più al lavoro, al governo ci saremmo noi senza Schifani e Alfano».
Non è tenero con la dirigenza di allora e con quella di oggi, con i tecnici al governo, con «certi personaggi dell'economia che andrebbero rottamati pure loro» e nei fatti neppure con il governo Letta, ma non ripete gli errori del passato, quando non badava troppo alla forma. Al governo chiede di fare «cose di sinistra, perché essere generosi va bene, ma ora tocca avere qualcosa anche a noi». Su Bersani non infierisce, ma non tralascia certo la risposta alle accuse di correntismo. Bersani è proprio out, mentre lui si rivolge a tutto il partito. E poi, a prendere voti «le correnti non servono, bastano le idee... A chi si dice renziano firmerei un trattamento sanitario obbligatorio».
Non si fa in tempo a ridere che Matteo passa a rovesciare il Pd come un calzino, «partito leggero, struttura a rete, legato ai territori». «E dove avrebbe il suo centro direzionale, oltre che a Firenze?», lo interroga Mentana. «A Pisa», la battuta che vale standing ovation. Basta con le paure, anche il Pisano avrà la sua parte.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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