Nella guerra civile dei democratici ora c'è di mezzo anche il giornale. Ieri l'Unità ha preso una linea decisa: «No di Renzi al governo Bersani». La battaglia più dura ha inizio. Nel Pd, intanto, anche chi non l'ha detto apertamente condivide almeno una parte delle preoccupazioni di Renzi sulla lentezza e la perdita dei tempo di questa legislatura. Una lettera firmata da molte anime del partito è stata recapitata ai capigruppo: si rimprovera la mancata formazione delle commissioni parlamentari e la paralisi dei lavori d'aula.
Le prime reazioni alla titolazione dell'Unità dal fronte del sindaco sono state furibonde. Matteo Richetti, deputato renziano della prima ora, ha scritto su Facebook: «Se il titolo è scappato, Sardo farebbe bene a lasciare, non serve un direttore distratto». Ma Sardo dovrebbe dimettersi anche se il titolo «è voluto», o, terzo caso, se il titolo «è imposto da altri». Richetti ha insomma chiesto la testa del direttore Sardo. Una reazione che Renzi pare non abbia gradito, tanto da pregare i suoi di alleggerire i toni. Lui stesso ieri è sembrato più cauto: «Io sarei per andare a votare, ma non è importante quello che penso io», ha detto. E che sia accordo con Grillo o con il Pdl, basta «che lo facciano».
Claudio Sardo ha risposto con moderazione: «Un titolo può piacere o meno. Ma suggerire le dimissioni di un direttore di giornale per un titolo che non si condivide, mi pare un infortunio». Lo stesso Richetti ha poi fatto un passo indietro: «Nella cordiale telefonata che mi ha fatto Sardo mi sono scusato se ho mancato di rispetto». Una telefonata però non riporta la pace. I democratici più vicini al sindaco fanno quadrato contro il quotidiano. A parlare per Bersani è il suo portavoce, Stefano Di Traglia: «Chiedere le dimissioni di un direttore perché non si concorda con un titolo è un atto grave. Si a critiche, no a censure».
Ma non c'è solo lo scontro sull'Unità. Ci sono i sondaggi, come l'ultimo di Swg che mette a paragone una eventuale coalizione guidata da Renzi con una riedizione del Pd targato Bersani. Ecco le percentuali: 36 a 28%. Ma c'è soprattutto una lettera che una trentina di deputati del Pd hanno scritto per recriminare l'assenza delle commissioni parlamentari. Si lamenta un grave ritardo, ma a denunciarlo non sono soltanto i renziani: tra i firmatari ci sono Matteo Orfini, della corrente dei Giovani Turchi, Marianna Madia, dalemiana, e il lettiano Francesco Boccia.
«Ad oltre un mese dalle elezioni - scrivono i deputati - il parlamento non ha ancora cominciato la sua operatività». Non sono state «ancora costituite le commissioni».
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