Rodotà aspetta i voti di Pd e Sel Grillo mette le mani sul Paese

Il leader del Movimento 5 stelle: "Bersani spieghi perché secondo lui il giurista non è candidabile". E le trattative si intensificano

Beppe Grillo, leader del Movimento 5 Stelle
Beppe Grillo, leader del Movimento 5 Stelle

Roma - Di male in peggio per il Pd, di bene in meglio per il M5S. Nel giorno in cui Bersani-Schettino affonda anche la corazzata Prodi dopo la portaerei Marini, per il candidato dei Cinque Stelle Stefano Rodotà la prospettiva di arrivare davvero al Quirinale si fa concreta. E chi aveva immaginato che qualche grillino in libera uscita potesse scrivere nel chiuso del catafalco il nome del due volte ex premier ha sbagliato sogno. «Nessuno in M5S si è mai sognato di votare Prodi e non se lo sognerà nemmeno in futuro. Il nostro presidente è Rodotà», dice in mattinata Beppe Grillo in un comizio a Manzano (Udine). Detto fatto.

Rodotà, Rodotà, Rodotà. Il nome del giurista diventa mantra, urlo, appello. «Se votato da Pd, Sel e M5S dal quarto turno avrebbe la maggioranza necessaria per essere eletto. Perché no? Bersani questo lo devi spiegare al Paese. Perché no? Se non c'è un motivo allora significa che ci sono dei motivi inconfessabili. Perché no Bersani?», grida Grillo. E Vito Crimi, capogruppo in Senato, guida l'acclamazione dei 162 parlamentari a cinque stelle per il giurista di origini calabresi, in un video rilanciato da Claudio Messora, responsabile della comunicazione al Senato, che lo posta sul suo blog byoblu.com. «Se il Pd voterà Stefano Rodotà al Colle si apriranno praterie per il governo dei cittadini e non più dei partiti», sussurra qualcuno al termine dell'assemblea mattutina dei parlamentari a cinque stelle. E pensare che oggi doveva essere il giorno dell'incontro tra gli esponenti del Pd e quelli del M5S per trovare un'intesa. Tutto inutile ora. Tutto saltato.

Lo spettacolo della rovina del Pd è talmente grandioso che anche le parole solitamente anabolizzate di Grillo sembrano esili. Richiesto di un commento mentre asserragliato nel suo camper si riposa dopo l'appuntamento pomeridiano di Tolmezzo, il comico non infierisce. Non risponde al giornalista che gli comunica il flop di Prodi e a chi gli chiede cosa succederebbe se il Pd votasse per Rodotà risponde serafico: «Che vincerebbe Rodotà».
È come se ogni giorno Grillo sparasse a salve e vedesse dopo un po' i propri nemici cadere comunque feriti. La parola nemici non è casuale: la usa lo stesso Grillo ricordando quando gli fu impedito di partecipare alle primarie del Pd perché ritenuto ostile. «Ora non siamo ostili, ora siamo nemici». E allora mai smettere di mettere cartucce nel fucile: «Destra e sinistra hanno inciuciato per 25 anni, si sono passati la borraccia come Coppi e Bartali, gli inciucetti di nascosto. Hanno disintegrato un Paese e la colpa oggi di chi è? Di noi, perché siamo noi che creiamo l'ingovernabilità», dice. «Il Pd invece di fare manifestazioni in piazza contro la povertà faccia un assegno e dia indietro i 42 milioni di euro di rimborso elettorale», insiste.

Redige il de profundis della vecchia politica: «Abbiamo mandato a casa cinque partiti in due mesi, sono spariti Udc, Fli e Di Pietro, fra poco si rompe anche il Pd e poi seguirà il Pdl». Poi il comico se la prende anche con i senatori a vita: «Noi li vogliamo togliere. Ma a cosa servono? I senatori devono essere riconosciuti? Gli diamo una targa, le scarpette d'argento e poi fuori dai coglioni».

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