Salta l'elezione di Marini al Quirinale. Il grande sconfitto è Bersani

Trattative senza sosta per sciogliere l'empasse e arrivare al candidato giusto. Con la quarta il quorum si abbassa a quota 504

Salta l'elezione di Marini al Quirinale. Il grande sconfitto è Bersani

Le larghe intese possono aspettare. La prima giornata di votazioni per l'elezione del Capo dello Stato si chiude con due fumate nere, un candidato bruciato (Marini), e un leader sconfitto (Bersani). Si deve continuare a votare. Un altro scrutinio (il terzo) necessita della maggioranza qualificata (672 voti), dal quarto, invece, per essere eletti sarà sufficiente la maggioranza assoluta dei "Grandi elettori" (504). La terza votazione inizierà domani mattina alle dieci a Montecitorio. Poco prima, alle 9.40, si terrà la conferenza dei capigruppo. In caso di nuova fumata nera si andrà avanti, nel pomeriggio, con la quarta votazione.

Messosi d'accordo con Pdl e Scelta civica, Bersani ha tentato di imporre Franco Marini. Ma i mal di pancia, in casa democratica, sono iniziati subito. Il partito è andato in fibrillazione già mercoledì sera, con una cospicua parte di parlamentari (90) che ha detto di non volerne sapere e un'altra (21) che si è astenuta, facendo emergere, quindi, un dissenso ampio. Il giorno dopo (oggi), il risveglio amaro per Bersani: alla prima votazione nelle Camere in seduta comune Marini si è fermato a quota 521 voti, ben al di sotto del quorum. Stefano Rodotà, candidato lanciato dal Movimento 5 Stelle sostenuto anche da Sel, ha raggiunto 240 voti. Significativo rilevare che si tratta di 32 voti in più rispetto ai grandi elettori grillini (163) e vendoliani (45). Al terzo Sergio Chiamparino con 41 voti (pare dei renziani), poi Romano Prodi 14, Emma Bonino 13, Massimo D’Alema 12, Giorgio Napolitano 10, Anna Finocchiaro 7, Anna Maria Cancellieri 2, Mario Monti 2. Le schede bianche sono state 104, le nulle 15, le disperse 8. I votanti sono stati 999 su 1007 grandi elettori.

Bruciato il nome di Marini, nella seconda votazione Pd e Pdl hanno scelto di votare scheda bianca. Complessivamente le bianche sono state 418. In calo rispetto al primo scrutinio i voti per Rodotà: da 240 a 230. Aumentano invece quelli per Sergio Chiamparino (da 41 a 90) e per Massimo D’Alema (da 12 a 38). Marini, il grande sconfitto del primo scrutinio, ottiene solo 15 voti. Il diretto interessato non ha ancora rinunciato. Ma è evidente che, a questo punto, occorrerebbe un "miracolo" per la sua elezione al terzo scrutinio. Discorso diverso dalla quarta votazione in poi, ma a quel punto i giochi si riaprono, quasi sicuramente con altri nomi. Quelli che circolano con insistenza sono D'Alema, Prodi e Amato. Ma Rodotà, vincitore delle "Quirinarie" del Movimento 5 Stelle, piace a una parte sempre maggiore della sinistra.

Chi sostiene Prodi mette in conto la possibilità di un rapido ritorno alle urne: in mancanza di un’intesa con il Pdl, infatti, difficilmente si potrà dare vita a un governo. Da parte loro i prodiani rispondono ripetendo che Prodi si è più volte espresso contro un ritorno alle urne con il Porcellum. Bisognerebbe cambiare la legge elettorale. E per farlo qualcuno deve andare a governare il Paese. Sia D’Alema che Prodi difficilmente avranno il sostegno entusiastico degli ex Popolari, che oggi non nascondono l’amarezza per la bocciatura di Marini. I "franchi tiratori", dunque, continueranno a esercitare un peso non indifferente.

Si riunirà domani mattina, alle 8, l’assemblea dei Grandi Elettori del Pd. L’ipotesi che sta prendendo piede al vertice del partito è di scegliere il candidato alla presidenza della Repubblica attraverso una consultazione, a voto segreto, sulla base di una rosa di nomi avanzata da Bersani. Una sorta di elezioni "primarie interne" tra i Grandi Elettori. Molti, nel partito, temono che la consultazione possa diventare una pericolosa conta tra i favoriti. Con il rischio di favorire il "Papa straniero", ossia un candidato non di sinistra.

Il Pd ha chiesto di far slittare di qualche ora il voto di domani pomeriggio (fissato per le 15-15.30): un rinvio di qualche ora o lo slittamento a sabato mattina.

Ma il Pdl non ci sta: "Mentre il Paese, a 52 giorni dalle elezioni, è ancora in attesa di un governo - affermano i capogruppo del Pdl alla Camera e al Senato, Renato Brunetta e Renato Schifani - non si possono compiere manovre dilatorie anche per la scelta del capo dello Stato solo perché il Pd deve risolvere i suoi evidenti e gravi problemi interni". Il Pdl esprime pubblicamente la propria "contrarietà ad ogni ipotesi di slittamento della quarta votazione".

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