Sanzioni ai disoccupati che rifiutano un posto

Il ministro del Welfare: «È uno strumento diffuso in Europa per diminuire l’intervento pubblico dove non serve»

Antonio Signorini

da Roma

Niente più sussidi per i disoccupati che rifiutano un nuovo posto di lavoro. Lo dice la legge, ma la prassi, come spesso succede, va in un’altra direzione. Le imprese non hanno interesse a inasprire i rapporti con i sindacati, soprattutto quando si tratta di decidere il destino di ex dipendenti o di vittime di pesanti ristrutturazioni. Le organizzazioni dei lavoratori, comprensibilmente, si guardano bene dal penalizzare i rappresentanti e le istituzioni che dovrebbero vigilare e finiscono per chiudere un occhio. Il risultato è che spesso chi è in cassa integrazione o mobilità continua a percepire l’assegno e rimane, almeno formalmente, senza lavoro.
Ora, però, il ministro del Welfare ha intenzione di voltare pagina. «Emanerò a breve una circolare per fissare sanzioni per i lavoratori in mobilità che rifiutano offerte di lavoro. Potranno decidere di rifiutarle, ma perderanno il sussidio di disoccupazione», ha annunciato Roberto Maroni, nel corso della tradizionale conferenza stampa di fine anno.
Si tratta, insomma, di rafforzare il meccanismo sanzionatorio già in vigore per chi rifiuta il reinserimento nel mondo del lavoro.
Già oggi chi è in cassa integrazione ordinaria non può rifiutarsi di seguire i corsi di formazione che vengono predisposti in vista del rientro in azienda. Per la Cassa integrazione straordinaria o in caso di mobilità, il lavoratore è tenuto a seguire i corsi di formazione e deve anche accettare i posti di lavoro alternativi, che non possono mai essere troppo diversi da quelli di provenienza. D’ora in poi, per chi non si atterrà a questi obblighi non ci saranno alternative alla perdita dell’assegno. «È uno strumento - ha sottolineato Maroni - diffuso in tutta Europa, che contribuisce a contrastare il lavoro nero e diminuire l’intervento pubblico laddove non serve».
Le novità riguarderanno un bacino molto ampio di lavoratori che usufruiscono degli ammortizzatori sociali. «Sono in molti a rifiutare, per ragioni umanamente comprensibili, ma inaccettabili dal punto di vista delle istituzioni», spiega il sottosegretario al Welfare Maurizio Sacconi. Il fatto è che spesso all’assegno del sussidio si somma un reddito da lavoro nero. E in questi casi l’accettazione del lavoro significherebbe passare da due redditi a uno. «È quello che succede spesso con le forme di sussidio prolungate come la mobilità lunga: finiscono per diventare bacini di lavoro nero», spiega ancora Sacconi.
Ora l’importante per il ministero del Welfare «è fare funzionare il meccanismo sanzionatorio. Il Welfare to work - sottolinea il sottosegretario - si alimenta con nuove opportunità da offrire a chi perde il posto, ma servono anche responsabilità. Ad esempio non si può non accettare un posto che viene offerto». In prima linea nei controlli ci saranno le istituzioni pubbliche. I centri per l’impiego, le Regioni, gli enti locali, le agenzie autorizzate e anche Italia Lavoro, la società controllata totalmente dal governo che è quasi sempre il braccio operativo del Welfare per le politiche attive pro occupazione.
Ieri è stata una giornata di bilanci per il ministero del Welfare. Maroni ha indicato le misure più importanti varate dal suo dicastero. Al primo posto, ha messo l’attuazione della legge Biagi e l’avvio della Borsa lavoro. «Il modello - ha spiegato - è quello inglese dei job center. Un sistema efficace, dove confluisce la quasi totalità delle offerte di lavoro e al quale il lavoratore sa che può rivolgersi. Per ora, la Borsa lavoro è operativa attraverso una rete di otto regioni, ma presto si estenderà a tutto il territorio nazionale».
Quanto ai risultati ottenuti dalla riforma Biagi, Maroni ha ricordato «l’aumento dell’occupazione e la riduzione della disoccupazione».

«È diminuita - ha precisato - la precarietà nel mondo del lavoro, contrariamente a quanto dice la sinistra. Oggi, il tempo indeterminato resta il contratto per eccellenza, mentre abbiamo eliminato la sacca dei co.co.co».

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