D i chiunque abbia novant'anni, come li ha Giuseppe Guarino, classe 1922, ci si limita a tirare le somme, parlandone al passato. Del medesimo Guarino ricorderemmo che fu esimio docente di Diritto, che ebbe Cossiga come assistente ed esaminò Giorgio Napolitano e Mario Draghi; che fondò uno studio avvocatesco senza rivali nelle materie amministrative ed europee; che fu parlamentare per un paio di legislature e due volte ministro. Dopo quest'orgia di «ebbe» e «fu» ci accomiateremmo da lui, grati per i trascorsi fecondi e per il contributo all'incremento del Pil.
Siamo invece obbligati a parlare di Guarino al presente e anzi a rincorrerlo nella sua alluvionale produzione a dispetto dell'età. Se cliccate internet lo vedete in cento salse su Youtube tra giovani che ammaestra a non cadere in luoghi comuni tipo, «l'euro è irreversibile»; sfogliate i giornali e trovate interviste in cui ci ammonisce - lui archeo europeista, vicino al padre fondatore, Altiero Spinelli - sui guasti prodotti da questa Europa; finché non vi capita tra le mani un saggio corposo, Euro: Venti anni di depressione (1992-2012), in cui il professore dimostra per tabulas che il Patto di stabilità (fiscal compact) è una truffa e che la cosa più saggia è uscire di corsa dall'euro.
Il fantastico nel novantenne Guarino è che fa tutto questo senza ritorni accademici o pecuniari, ma gratis et amore Dei. Addirittura sublime è che lui, tecnico al pari di Mario Monti e di una generazione più anziano, sia libero dai paraocchi del premier che di fronte a dati disastrosi, ripete tutto va bene signora la marchesa. Guarino, no. Teme per il futuro, vede il divario tra l'Europa vagheggiata e quella reale, reagisce con uno scavo in profondità all'europeismo pigro e acritico dei Monti, Napolitano & Co. Naturalmente, poiché l'euro è tabù, Guarino, è ignorato. Stesso destino di Paolo Savona, economista in auge fino a poco fa, messo in quarantena da quando sostiene l'abbandono della moneta unica.
Ecco in pillole la tesi del Prof. È falso che le passate generazioni abbiano danneggiato le nuove. Vero il contrario: i giovani vivono ancora su quanto accumulato da nonni e genitori. L'accumulo è avvenuto perché l'Italia, dal 1945 al 1980, è stata prima al mondo per sviluppo con la media cinese del 5,25. Anche dal 1980 al 1992 crebbe straordinariamente, seconda solo alla Germania. Com'è possibile che, da Maastricht (1992) in poi, l'Italia sia passata dal primo all'ultimo posto tra i grandi Stati? La colpa è della rinuncia alla sovranità monetaria e della rigidità dei vincoli Ue che, aldilà delle pie illusioni, ci portano alla povertà.
Da giurista, Guarino si chiede - Trattati alla mano - se sia possibile uscire dall'euro, restando nel mercato unico. Certo, risponde. Com'era facoltativo aderire all'eurozona (in dieci l'hanno rifiutata), così non è obbligatorio continuare a farvi parte. Si può recedere senza modificare i Trattati. Un'uscita dolce per creare, accanto a qualche Paese isolato, due raggruppamenti con moneta unica: uno che prosegue con l'euro e la disciplina del Patto di stabilità (bilancio in pareggio, rapporto massimo debito/Pil del 60%); l'altro - cui partecipa l'Italia - che crea una nuova moneta, ma con sovranità monetaria, e, per tutto il resto, rimane legata ai trattati Ue. Il tempo dirà quale dei sistemi ha più fiato. Libero ciascun Paese di aderire al migliore dei due. Il via dall'euro - conclude il Prof - è il solo modo indolore per «uscire dall'attuale situazione gravida di pericoli».
Guarino ha tanto più le carte in regola per sparigliare, in quanto era già preoccupato del debito pubblico quando i soloni odierni, da Napolitano a Monti, dormivano. Con il solito patriottismo, senza che nessuno glielo abbia chiesto, preparò due proposte per abbattere il debito creando una Debiti spa che raccogliesse il patrimonio pubblico vendendone sul mercato le azioni. Camera e Senato lo convocarono nel 1999 e nel 2009. Ogni volta fu osannato per l'intuizione e accompagnato all'uscio con tanti saluti e grazie. I Guarino sono conciatori di pelli che dall'Avellinese si trasferirono a Napoli. Qui nacque Giuseppe che rimase presto orfano di padre e subì l'influsso della mamma che stravedeva per una conoscente moglie di un docente universitario. Con questa ambizione, si iscrisse a Legge prendendo tutti 30 e lode, finché non si imbatté nel titolare di Diritto ecclesiastico. Costui si era fitto in capo di non dare mai la lode e di abbassare il voto a chi gliela chiedeva. Giuseppe affrontò l'esame ed ebbe 30. Volendo la lode, chiese una domanda in più. Subito, il prof gli abbassò il voto a 29. Alle proteste, lo portò a 23. Il giovanotto andò in lacrime dal preside di Facoltà, Alfonso Tesauro, noto costituzionalista. Tesauro si intenerì, negoziò col collega e ottenne che si ritornasse al 29. Poi, prese sotto la sua ala quel caparbio discendente di conciatori mettendolo in cattedra a 25 anni. Guarino fu titolare di Diritto pubblico, Costituzionale e Amministrativo, nell'ordine a Sassari, Siena, Napoli e Roma. Tra i suoi allievi, Luigi Berlinguer, Cesare Salvi, Pellegrino Capaldo.
Per vent'anni (1967-1987), è stato sindaco di Bankitalia. Visse il periodaccio (1979) dell'incriminazione del governatore, Paolo Baffi, e dell'arresto del vicedirettore, Mario Sarcinelli, falsamente accusati da due magistrati, Antonio Alibrandi e Luciano Infelisi, che volevano - pare - favorire Michele Sindona preso di mira da Bankitalia. Poiché lo scandalo fu enorme, Guarino prese da solo l'iniziativa di affrontare il premier Giulio Andreotti presunto sponsor di don Michele. «Lei sa - disse più o meno - che Baffi e Sarcinelli sono integerrimi. Il caso potrebbe avere riflessi pari a quello Dreyfus nella Francia ottocentesca e il suo futuro politico, signor presidente, rischia di essere compromesso». Poco dopo, i magistrati fecero retromarcia. «Telefonai ad Alibrandi», rivelò in seguito Andreotti a Guarino. Questa eminenza grigia abituata a fare di testa sua, bazzicò la Dc e ne fu parlamentare. Nell'87, fu ministro delle Finanze con Fanfani. Nel '92, Giuliano Amato, che guidava il governo levantino che ci rubò i risparmi di notte, lo nominò ministro dell'Industria. Mal gliene incolse. Guarino dissentì dalle privatizzazioni. Sono un bidone, disse facendo la fronda.
In effetti, finirono in un magna magna, senza ridurre il debito pubblico. Guarino pagò l'ardire con la sottrazione di ogni competenza sulle privatizzazioni, affidate a un docile ministero ad hoc. Come oggi, restò isolato. E come oggi, coglieva nel segno.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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