Qualcosa è cambiato. «Putin - spiega Giampiero Massolo, presidente di Ispi - è sempre stato un maestro nel controllare le fazioni dell'apparato militare russo, anzi nel giocare fra rivalità e gelosie. Ora però gli errori e le contraddizioni di una guerra mal condotta emergono in modo netto, rivelano tutte le debolezze del regime, fanno balenare crepe che prima non vedevamo. Prigozhin esprime tutto questo malcontento».
Che cosa sta accadendo in Russia? In serata Prigozhin ha deciso di fermarsi e di non marciare fino a Mosca.
«Siamo alla tregua, allo stallo. E questo denota la debolezza del regime, anche se non conosciamo i termini dell'accordo raggiunto. Putin non può accettare che Prigozhin tenga la scena a lungo, guadagnando magari consensi e infliggendo umiliazioni a Mosca. Peró è evidente che si sono aperte delle crepe».
Come è la situazione sul campo?
«Non ci sono evidenze che il regime stia per collassare, l'impressione era che Putin, pur in difficoltà, potesse stroncare la marcia della Wagner. Ma questo non è successo: con la mediazione di Lukashenko è arrivata questa tregua. Mosca non è in grado di reprimere la rivolta, cerca allora di gestirla. Si dice addirittura che l'intesa prevederebbe l'allontanamento del ministro della difesa Shoigu: se così fosse Putin si consegnerebbe nelle mani del capo dei mercenari, anche se metterebbe da parte una figura scomoda come Shoigu».
L'opinione pubblica potrebbe abbandonare Putin?
«Un attimo: l'opinione pubblica, come la intendiamo noi, esiste solo a San Pietroburgo e Mosca. Da quel che sappiamo i morti e le battute d'arresto nella conduzione del conflitto con Kiev non hanno generato malcontento. La popolarità di Putin sembra intatta, però ritardi e frustrazioni si riflettono dentro il mondo che porta la divisa».
Forse la pace è più vicina?
«Non mi farei illusioni».
Perché?
«Se tutto andrà come è ragionevole immaginare, Putin, accantonato per ora il problema Prigozhin, tornerà a dedicarsi alle operazioni belliche».
Ma non avrebbe interesse a questo punto a mettere la parola fine al massacro in corso?
«Purtroppo devo rispondere con un no. Accettare una tregua vorrebbe dire riconoscere la propria vulnerabilità e su questo Putin non ci sente. Non può permetterselo dopo aver ingaggiato un duello imprevisto e imbarazzante con Prigozhin».
Se non scoppierà una guerra civile, tutto tornerà come prima?
«Non ci sono segnali, come accennavo, di un tracollo della Russia di Putin anche se talvolta le dittature si schiantano all'improvviso».
Nelle scorse settimane si è parlato di commando di partigiani russi alleati con gli ucraini. Potrebbe essere un altro indizio di una possibile svolta?
«Si tratta di fenomeni confusi, non c'è chiarezza sul punto. Certo, se Putin non dovesse riprendere saldamente il timone, allora lo scenario cambierebbe: queste realtà finiranno fatalmente per moltiplicarsi e per saldarsi fra di loro. Il fattore tempo è decisivo per Putin: se la ribellione si diffonde per lui sono guai; ma la foto scattata oggi ci dice che lo smottamento non è imminente. Le tensioni sotterranee però continueranno».
Dobbiamo augurarci un cambio di regime?
«Una sostituzione di Putin, che per ora non è alle viste, presenterebbe molte incognite. Non ci sono nemmeno avvisaglie di un possibile spezzatino della Russia, di una sua possibile dissoluzione».
Cosa può fare l'Occidente?
«Nulla. Dobbiamo solo attendere per capire.
E naturalmente dobbiamo continuare a sostenere l'Ucraina che è stata aggredita. Ma l'obiettivo resta sempre lo stesso: Kiev deve riavere i territori sottratti, non ci possono essere altre aspettative. Facciamo i conti con la realtà e andiamo avanti così, poi si vedrà».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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