Al Senato opposizioni in letargo e Renzi porta il sole d'Arabia

L'intervento di Giorgia Meloni in Senato, tra opposizione dormiente, un piddino diventato stenografo e applausi (dalla Lega) quando parla di migranti

Al Senato opposizioni in letargo e Renzi porta il sole d'Arabia

Roma. Il calendario dell’Aula del Senato segna la data del 21 marzo, il giorno di Giorgia Meloni. Il Presidente del Consiglio riferisce prima del Consiglio Europeo di giovedì e venerdì. La temperatura è alta nel piccolo transatlantico dalle pareti damascate, d’altronde è primavera. Finestre chiuse ma fuori c’è il sole. Lo stesso preso da Matteo Renzi in uno dei suoi viaggi. Il senatore sfoggia un’abbronzatura da fare invidia.

Ciao, dove sei stato?” – chiedono gelosi alcuni colleghi senatori – “eeeeee…” risponde. O meglio, glissa. Forse in Arabia? Chissà. A Bruxelles è stato il ministro della Sovranità alimentare Francesco Lollobrigida che, al codazzo di cronisti che lo insegue dalla buvette per tutto il Senato e gli chiedono conto dei rapporti con la Francia risponde: “I rapporti sono ottimi! Sulla pesca andiamo super d’accordo, ne abbiamo parlato giusto ieri a Bruxelles. Per non parlare dell’agricoltura e delle etichette sui vini.”

Intanto poco più in là, nella sala Garibaldi, il senatore “nero” di Fratelli d’Italia Luca de Carlo da una spallata (per sbaglio? ndr) alla senatrice dem Sandra Zampa. Che botta! Avreste dovuto vedere la faccia della piddina. Per Walter Verini giornata “tranquilla”, come dargli torto? L’opposizione sembra dormiente. Quasi in letargo. Qualcuno li avvisi che l’inverno è passato e che sarebbe l’ora che si svegliassero.

“Triin, triin…” Suona la campanella, è l’ora di Giorgia. Lollobrigida scappa, “è il momento di entrare” gli fanno notare i suoi più stretti collaboratori. Giorgia Meloni sembra in forma, in Aula tutti prendono posto. Con calma. Al fianco della Presidente non c’è né Matteo Salvini e neanche Antonio Tajani. Da un lato Raffaele Fitto e Adolfo Urso due ministri a lei cari. Roberto Calderoli, ministro leghista per le autonomie, preferisce sedere tra i banchi della maggioranza e non del governo.

Il primo applauso lo fa partire Massimiliano Romeo, capogruppo della Lega. Quando? Ovviamente quando Meloni parla dei migranti. In minoranza facce cupe, tristi. Antonio Misiani prende appunti con l’iPad, sembra uno stenografo del senato. Pare averli sostituiti. Tutti gli altri (dico tutti) cellulare in mano ignorano il discorso del Premier. Tutti eccetto i grillini e Graziano Delrio che preferisce giocare con la tessera da senatore.

Vedete, la battaglia politica si può efficacemente fare senza dipingere l'avversario come un mostro.” – tuona Meloni – “C'è un limite che non andrebbe mai oltrepassato” – occhio, gli animi finalmente si accendono - il limite che, per gettare ombre sull'avversario, si finisce per mettere in cattiva luce l'Italia e l'operato delle forze dell'ordine e di polizia, della Marina, della Guardia Costiera e della Guardia di Finanza. Si finisce anche per indebolire la nostra capacità negoziale, l’Italia." Il Dem ellyschliano Francesco Boccia a queste parole farfuglia, o meglio, si sveglia. Intanto Pier Ferdinando Casini è tristemente solo seduto tra gli scranni più bassi. Carlo Calenda (che è l’unico di “peso” a intervenire in Aula della minoranza) ripassa il discorso già scritto prima di ascoltare tutto l’intervento della Meloni. Ogni tanto applaude. Sugli spalti i ragazzi delle scuole. Perplessi ma attenti guardano Giorgia Meloni con curiosità. Tra i giornalisti il commento è unanime: “che giornata moscia.”

Già, il bello viene domani nell’arena di Montecitorio. Alle 9.

30 discussione generale, poi le dichiarazioni di voto. Iscritto a parlare già il pacifista Giuseppi Conte. Un mistero se parlerà Elly. Ha ancora tutta la notte per ripassare.

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