Sapete perché il libro più venduto in questo momento in Italia è L'arte della felicità di Seneca al prezzo di novantanove centesimi? Perché risponde a tutto quel che non abbiamo: i soldi, la felicità e i veri saggi. Infatti, costa meno di un euro e dunque viene incontro alla mancanza di soldi. Ci parla della condizione che ci manca di più, sentirsi felici. Ed è scritto da un vero saggio tra i dieci scelti non dal Quirinale ma dall'Umanità, anch'essi divisi in due commissioni, una di fondatori di religioni e l'altra di liberi pensatori.
Seneca è un filosofo, ma a differenza di tanti suoi colleghi è comprensibile a tutti; sapeva destreggiarsi in epoca di malapolitica, scriveva e-mail duemila anni prima che le inventassero e con le sue brevi sentenze twittava e messaggiava che è una meraviglia. (A lui ho dedicato un libro, anzi gli ho postato lettere a cui lui mi ha risposto con millenni d'anticipo). Certo, libri così, a quel prezzo, salvano la lettura ma affossano l'editoria; come se ci fossero ristoranti che ti fanno pagare un pranzo al prezzo di un caffè. Però la vera fame che c'è in giro è di felicità, quest'arnese inafferrabile ma indispensabile che ci fa sentire odor di paradiso.
Il presidente della Repubblica venturo dovrebbe somigliare a Seneca: saggio, super partes, stoico e confortante.
Poi vedi i candidati, da Prodi alla Bonino agli altri quirinauti, e diventi sedevacantista. E se assegnassimo il Quirinale alla memoria? In alternativa, adottiamo il metodo Napolitano: nominiamo dieci piccoli presidenti anziché uno solo.
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