Sir Grilli il golfista, lord grigio dei tecnici

Il vice di Monti all’Economia, rampollo della borghesia milanese, ama il golf e le auto straniere. E da ragioniere dello Stato ha saputo muoversi al fianco di ministri di ogni schieramento

Sir Grilli il golfista, lord grigio dei tecnici

Il tipo più anglosassone del governo Monti, il viceministro dell’Economia, Vittorio Grilli, è un cinquantacinquenne felpato più a suo agio nei chiusi recessi del potere che sotto la luce dei riflettori. A parte il lavoro, il suo mondo è quello dei discreti riti borghesi. Quando scende nel garage dell’attico di trecento metri ai Parioli ha la scelta tra una Jaguar da collezione datata 1994, una Volkswagen ancora più museale del 1975 e una Rover dei giorni nostri. Già questo parco macchine è un biglietto da visita: una Fiat neanche sotto tortura. Ammettiamo sia domenica e abbia preso la Jaguar. Dove andrà? Al golf, suo sport d’elezione. Il green preferito è tra le dolomiti di Cortina d’Ampezzo, suo rifugio nelle vacanze estive dai tempi dall’infanzia milanese. Salvo che non decida per un viaggio. Allora tornerà a Londra dove ha insegnato o negli Usa dove ha studiato per riannodare quei legami sans frontières che fanno la differenza tra l’italiota medio e sir Vittorio Grilli.
Agli inizi dell’avventura governativa, la visibilità come vice di Monti al Tesoro ha imbarazzato Grilli, noto per la discrezione cardinalizia. Ora però compare regolarmente in tv e acquista più disinvoltura ogni giorno. Non è comunque uomo da palcoscenico, ma un’eminenza grigia che opera dietro le quinte. Appartiene al cosiddetto «partito romano», la corporazione degli alti burocrati che - al motto: loro passano, noi restiamo - sovrasta i politici. Tecnico eccelso, non lascia trapelare le proprie convinzioni, piegandosi docilmente a quelle altrui. Ha lavorato a gomito con una decina di ministri di opinioni opposte. Mai fatto una piega. Per alcuni è indipendente, per altri trasversale.
Un esempio illuminante è questo. Grilli ha messo a punto per il governo Monti il meccanismo che ha ritassato i capitali scudati. Un gioiellino giuridico che non doveva lasciare scampo ai recalcitranti. Sicuro di sé, Vittorio ha addirittura iscritto in bilancio i ricavi (sperati) della nuova gabella. Il trabocchetto non sta però funzionando perché i soldi rientrati, già anonimi all’origine, hanno da tempo preso mille direzioni e sono irrintracciabili.
Il nodo però è un altro. Lo scudo originario era stato voluto dal duo Berlusconi - Tremonti con la solenne promessa di fare pagare una penale secca e poi metterci una pietra sopra. Monti, al contrario, si è rimangiato la parola data dallo Stato e ha incaricato Grilli di tassare una seconda volta e dare una cornice sapiente alla truffa. Vittorio ha accettato l’incombenza senza ai né bai. E qui veniamo al punto. Era stato, infatti, proprio lui a scrivere anche la prima legge, quella del condono tombale. Ergo: è stato così impunito da mettere la firma tanto sulla promessa dell’una tantum, quanto sulla sua revoca e l’imposta bis. Una volta per compiacere Tremonti, l’altra Monti, come Arlecchino servitore dei due padroni. Senza un rossore per avere fatto una cosa e il suo contrario.
Rampollo della borghesia milanese, Vittorio è stato educato per eccellere. Il padre, Massimo, aveva una fabbrica di macchine per il caffè, oggi ceduta per il rifiuto dei figli di seguirne le orme. La mamma, Maria Ines Colnaghi, era oncologa. La sorella, Cristina, è una pediatra, sposata a un pediatra, con zii pediatri. Anche Vittorio doveva essere medico, ma finito il liceo al Gonzaga (Fratelli delle scuole cristiane), si iscrisse alla Bocconi. Dopo la laurea in Economia - massimo dei voti, appassionante tesi sui tassi di cambio - vinse una borsa di studio di Bankitalia per gli Usa.
Nel 1982, venticinquenne, sbarcò all’Università di Rochester, a un tiro di schioppo dalle cascate del Niagara. Bel posto ma con due metri di neve sei mesi l’anno. Previdente, Vittorio ci arrivò con una bionda e bella ragazza italiana che alla dozzina di altri italiani ospiti del campus presentò come moglie, anche se nelle sue biografie correnti non ce n’è traccia. D’altronde, fu una meteora. Dopo un anno al gelo e con Vittorio che sgobbava per essere, come difatti era, tra i primi del corso, la fanciulla fece fagotto e sparì. Sul momento, il marito ci rimase di peste. Presto però mise gli occhi su una bella assistente dell’Ateneo, ma stavolta bruna - cautela cui si atterrà anche, come vedremo, nella sua più recente fase sentimentale - con la quale riprese gusto ai barbecue organizzati dai compatrioti sui prati dell’University. Costei era Lisa Lowenstein, statunitense, che diventerà sua moglie e lo seguirà per anni in tutte le tappe.
Coerente con le sue ambizioni, andò a fondo negli studi, senza fermarsi, come avviene spesso, al terzo anno con la conquista di un modesto Master (vedi Corrado Passera), ma terminando il quinquennio con l’alloro del Ph.D. Chiusa la pratica Rochester andò a Yale e, a 29 anni, salì in cattedra. Qui, durante i campi estivi di studio, conobbe tre calibri peninsulari: il già illustre Luigi Spaventa e due boccioli, Mario Draghi e Francesco Giavazzi. Mise le amicizie nel carniere e da Yale si trasferì a Londra, dove insegnò dal ’90 al ’94. In tutto, Grilli ha trascorso tredici anni di fila nel mondo anglofono. Metteteci anche la moglie dell’East Coast, e capite il vezzo per la Jaguar, il golf e il rigetto per le Fiat.
Furono Spaventa, ministro del Bilancio, e Draghi, direttore generale del Tesoro, a richiamarlo in Italia nel ’94 con Ciampi premier. Entrò nel dicastero e ci rimase fino al Duemila col compito di trasformare in spa i carrozzoni di Stato. Lo chiedeva l’Ue per farci entrare nell’euro. Fu l’epopea delle privatizzazioni all’italiana, zeppa di affari privati e nessun beneficio pubblico. Poiché Grilli c’era, è difficile vederlo oggi come risanatore. Comunque, entrammo nell’euro. Vittorio, in obbedienza a un fioretto, si tagliò la barba che si era fatta crescere a Yale.
Salvo la parentesi di un anno (2001) per un lucroso incarico al Crédit Suisse, Grilli ha fatto ininterrottamente parte del panorama del dicastero del Tesoro dal suo ingresso. L’esperienza del potere lo ha affascinato più dell’insegnamento. «In queste stanze si vedono cose che un privato non vedrà mai», dice spesso. È stato ragioniere generale, il cui compito è fare quadrare i conti dello Stato. S’è visto! Pure questo, per inciso, non è il miglior lasciapassare per il suo attuale ruolo di salvatore della patria. È stato poi Direttore generale a 519.000 euro l’anno, quasi il triplo di quanto prende oggi da ministro (197.000). Senza arrivare al punto di fare una colletta per lui, ne va apprezzato lo spirito di servizio: la patria chiama, Grilli accorre buttando a mare 322.000 burigozzi. Chapeau.
Ho già accennato alla recente svolta sentimentale. Vittorio ha infatti una nuova compagna, Alessia Ferruccio, da cui ha avuto un piccino. Di chioma bruna come l’ex moglie, Alessia deve essere una manager o giù di lì, poiché, nato il bebè, è stata cooptata - secondo indiscrezioni, purtroppo mai smentite - in Consip con un alto incarico.

La faccenda suscita brusii poiché Consip è una società per azioni posseduta al cento per cento dal ministero dell’Economia (ne gestisce l’informatica) di cui sir Grilli è magna pars. La circostanza, in effetti, non è elegantissima. Ma sono le trappole dell’amore.

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