
Roma - Pagare denaro, vedere cammello. La Confindustria di Giorgio Squinzi ha dato l'avviso di sfratto a Enrico Letta. «Se dovesse arrivare con la bisaccia vuota all'appuntamento del 19 febbraio, non ci resterebbe altro che appellarci a Napolitano che, nella sua grande saggezza, prenderà le decisioni giuste». Il numero uno di Viale dell'astronomia ha utilizzato l'emittente «di casa», Radio24 del Sole24Ore, per consegnare l'ultimatum-appello a Palazzo Chigi. Non ci vuol molto a capire che per il premier la partecipazione al prossimo consiglio direttivo non sarà una visita di cortesia. Da circa sei mesi, ormai, Squinzi incalza con cadenza quasi quotidiana il presidente del Consiglio. Certo, non si tratta di un attacco personale. Anzi, il patron della Mapei e del Sassuolo ha dichiarato di conoscere «bene Letta da tanti anni» (li accomuna anche la fede milanista) e evidenziato come «il suo immobilismo derivi da una situazione politico-istituzionale piuttosto confusa». Eppure, pochi giorni fa il leader degli imprenditori italiani era stato altrettanto duro. E mentre il «giovane» Enrico dagli Emirati indicava «la luce in fondo al tunnel», l'ottimo Squinzi gli ricordava che «con una crescita dello 0,7% (la stima per il 2014) non si crea occupazione». «Più che un disfattista, credo di essere un realista», ha rintuzzato ancora ieri replicando alle critiche mossegli dal presidente del Consiglio. Nell'incontro di mercoledì a Roma, ha aggiunto, «ci siamo spiegati, gli ho presentato le nostre priorità, che devono essere realizzate in tempi strettissimi». Di qui l'invito a presentarsi tra due settimane a Viale dell'Astronomia «portando delle soluzioni, alcune già fatte, altre avviate». Sono toni con i quali un imprenditore avvisa i suoi collaboratori che se le direttive non saranno eseguite, scatteranno le lettere di licenziamento. E non è un caso che i «riferimenti» politici di Squinzi ieri siano stati due. Il primo, come detto, è Giorgio Napolitano cui toccherebbe il compito di prendere atto che il governo è «nemico» delle imprese in quanto non ne ascolta le priorità. Quello stesso Napolitano che ha «imposto» al Pd di sostenere l'attuale esecutivo. Il secondo è stato Matteo Renzi: il numero uno di Confindustria ha smentito un incontro imminente (anche se ieri si sono incrociati a un convegno a Firenze). Si vedranno la settimana prossima anche se, per ora, Squinzi è stato piuttosto tiepido sul Jobs Act che assieme all'Italicum rappresenta la produzione dei suoi primi due mesi da segretario Pd. Ma dove intende approdare Confindustria con questa presa di posizione? Occorre effettuare due distinte riflessioni. La prima riguarda la «rottamazione» dell'attuale compagine di governo. Non è una novità: Squinzi già a ottobre aveva detto che la legge di Stabilità era piena di «porcherie». A novembre aveva chiesto lo sforamento del 3% di deficit/pil per sostenere la ripresa tra le acclamazioni dei parlamentari renziani. L'ultimatum, quindi, nasce da una serie di «moniti» rimasti inascoltati: servono risorse, molte risorse per tagliare il costo del lavoro che rende l'Italia poco competitiva sui mercati (Electrolux e Fiat insegnano). La «sintonia» con Renzi non è un fatto solo politico. Una volta ricucito lo strappo sul fronte interno, dopo le divisioni generate dalla sua elezione in Confindustria, Squinzi e la sua base cercano una leadership in grado di tradurre in azione i loro programmi.
E a Viale dell'Astronomia (come a Piazza Affari) Matteo Renzi riscuote attualmente molte simpatie. E se fra due settimane Letta non tirerà fuori il coniglio dal cilindro, ci sarà anche qualcun altro a parlare di «staffetta».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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