Le stazioni delle archistar finiscono sul binario morto

Da Milano a Firenze, da Reggio Emilia a Roma Tiburtina e Napoli. I viaggiatori: "Capolavori di design, ma per noi sono una trappola"

Le stazioni delle archistar finiscono sul binario morto

Per essere belle sono belle. Forse anche troppo. Soprattutto se il concetto di bellezza rimanda a quello di spreco di danaro pubblico. Parliamo delle stazioni ferroviarie (alcune concluse, altre in fase di realizzazione) progettate dagli archistar: professionisti del tavolo da disegno che stanno all'architettura come i professionisti del tavolo verde stanno al casinò. Il parallelo non sembri azzardato, perché in entrambi i settori di soldi ne circolano tanti. Si parla di milioni di euro: una cifra enorme che, se in minima parte fosse destinata alle «linee pendolari», eviterebbe ogni giorno di far viaggiare milioni di lavoratori in treni vergognosi e in condizioni da terzo mondo. Anche per questi motivi quando un pendolare che si sveglia la mattina alle 5 e viaggia ogni giorno in un convoglio bestiario puntualmente in ritardo, viene a sapere che lo Stato spende milioni di euro per fare le stazioni di design, un po' si incazza.

Ma a incazzarsi non sono solo i pendolari (che comunque ne hanno più motivo di tutti) anche i viaggiatori normali e quelli di lusso dell'alta velocità. Prendete la stazione Centrale di Milano, ad esempio: prima del «bellissimo» restyling che l'ha europeizzata, il viaggiatore-tipo usciva dalla metropolitana, saliva sulla scala mobile e si trovava direttamente a ridosso dei binari pronto per prendere il treno. Ora no. Lo stesso viaggiatore-tipo è costretto a uno snervante zig zag tra vetrine e tapis roulant col fine - neanche tanto recondito - di costringerlo a fare shopping prima di montare in carrozza, col rischio magari anche di perdere il proprio Italo o Frecciarossa: treni che ormai arrivano in stazione e ripartono con la velocità di un Usain Bolt. Da qui una domanda, tutt'altro che peregrina: quanta spesa in più di quella necessaria viene giustificata con motivazioni artistiche? Considerando soprattutto che le società «Grandistazioni» e «Centostazioni» (cui fanno capo le opere di rimodulazione dei grandi scali ferroviari italiani) hanno obiettivi unicamente legati alla massimizzazione dei ricavi, non alla remunerazione delle risorse pubbliche impiegate. A porsi la domanda e a fare quest'ultima considerazione è stato in un interessante articolo dal titolo «Quelle stazioni lastricate d'oro», pubblicato sul sito lavoce.info, il professor Marco Ponti che insegna economia dei trasporti al Politecnico di Milano.

«Proseguendo verso Sud - scrive Ponti -, incontriamo la stazione di Reggio Emilia, progettata dall'archistar Santiago Calatrava e da alcuni maligni denominata lo “scheletro di dinosauro”. Al di là di soggettive valutazioni estetiche, era necessario convocare una celebrità (con i probabili costi relativi) per una stazione che in realtà è una semplice fermata in un'area in aperta campagna, dove sostano pochi treni al giorno? Qualche dubbio è legittimo. Potremmo classificare questa categoria come “discutibile pregio architettonico”». Nel suo «viaggio» il professore del Politecnico «fa tappa» anche a Bologna e Firenze: «La vicenda di queste stazioni “alta velocità” ha una storia peculiare. Tutto parte dalle preoccupazioni per il possibile inquinamento acustico che i treni veloci diretti avrebbero potuto generare transitando a piena velocità attraverso Bologna. L'amministrazione, invece di valutare la possibilità di schermature antiacustiche integrali alla linea, pretese una stazione sotterranea, decuplicando i costi».

«Ma il caso più eclatante - denuncia il professore nel suo ben documentato intervento - è quello della costruenda nuova stazione sotterranea di Firenze, progettata da un'altra archistar, l'inglese Norman Foster. Sul piano funzionale, si suppone che una stazione sotterranea si costruisca per accelerare i treni in transito e per ottimizzare l'interscambio con i treni locali. Ma non è così: la linea sotterranea percorre un tracciato tutt'altro che rettilineo e la risalita verso i treni locali è complessa, con una lunga rampa obliqua e una tratta ulteriore in orizzontale. Per quanto concerne i costi, poi, si possono stimare quadrupli di quelli di una soluzione a raso, ma in questo caso sarebbero stati ancora più alti: per raccordarsi con la soluzione sotterranea è stato modificato, sembra, lo sbocco in pianura della tratta alta velocità Bologna-Firenze, con una decina di chilometri supplementari in galleria e con costi aggiuntivi (parametrizzando sui costi dell'intera tratta) dell'ordine di molte centinaia di milioni. Potremmo classificare il caso di queste due stazioni come “gigantismo progettuale”».

Proseguendo verso Sud, nulla si può dire invece della funzionalità della nuova stazione “a ponte” di Roma Tiburtina, anche questa

firmata da un'archistar (Zaha Hadid). Gli sconfinati spazi commerciali la fanno rientrare nella tipologia della “discutibile induzione alla spesa”».

Traduzione: prima del cliente viaggiatore, viene il cliente consumatore.

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