Storia di un conformista che finge di essere pazzo

Grillo cavalca l’odio verso la Casta più per affare che per convinzione: non scenderà in campo in prima persona. Dagli attacchi al Psi ai tecnici, mai scelte controcorrente

Storia di un conformista  che finge di essere pazzo

«L a cosa che gli è riuscita meglio è la sua svolta antipolitica: è più attore oggi che fa politica di quando tentava di far l’attore. Attenzione, però: non c’è niente di Grillo nel personaggio che interpreta. Non mi è mai sembrato uno interessato a questi temi. Ha intuito che dire le cose da bar è un’attività redditizia. Niente di meglio per gli italiani, che aspettano sempre il capopopolo di turno».
Così il grande Dino Risi, che nell’85 l’aveva diretto in Scemo di guerra, riassumeva al Corriere nei giorni del «Vaffa-Day» il tratto caratteristico di Beppe Grillo. Che potrebbe anche dirsi così: il comico-blogger-politico genovese non è quello che sembra; o meglio, non è né il capopopolo né il messia degli onesti che molti ingenuamente credono ma, più prosaicamente e più efficacemente, è uno straordinario manipolatore del consenso, un brand, o anche, come lo definì Panorama quando qualche anno fa si scoprì che guadagnava più di 4 milioni di euro l’anno, «uno splendido negozio con un sistema di vendita che funziona benissimo».
Niente di male, basta saperlo. E, per saperlo, basta ripercorrere la densa ma omogenea biografia di Grillo. Proprio Risi ci fornisce del resto la chiave di accesso al personaggio, e indica persino le circostanze fattuali della svolta (anti)politica del comico: l’incontro con Coluche sul set di Scemo di guerra. Coluche era in Francia una specie di eroe nazionale, il comico forse più popolare, di certo il più graffiante, e - particolare essenziale agli occhi di Grillo - era stato prossimo a candidarsi alle presidenziali nell’81. Un sondaggio gli aveva accreditato il 16% di voti al primo turno, e un pezzo di intelligentzia parigina (fra cui Deleuze e Guattari) l’aveva adottato. Grillo, ricorda Risi, «capì proprio durante le riprese del mio film che recitare non era pane per i suoi denti. E Coluche forse gli ispirò la strada alternativa: fare il capopopolo».
Era stato Pippo Baudo, nel 1977, a scoprire il ragionier Giuseppe Piero Grillo in un cabaret milanese, e a lanciarlo in televisione nel quiz Secondo voi. La carriera è rapida e brillante: nel ’78 conduce con Stefania Casini e Maria Giovanna Elmi il festival di Sanremo, l’anno dopo è con Loretta Goggi alla guida di Fantastico. Gli anni Ottanta vedono il trionfo di Beppe Grillo con programmi tagliati su misura, che ne esaltano la comicità spiccia e la battuta spesso greve: Te la do io l’America, Te lo do io il Brasile, Grillometro sono tutti incentrati sul comico-conduttore che, piano piano, comincia ad atteggiarsi a guru (e intanto vince tutti i premi pubblicitari del mondo con gli spot dello yogurt Yomo).
Finché, un sabato di novembre dell’86, dagli schermi di Fantastico Grillo decide di dedicare gran parte del suo monologo al viaggio in Cina di Craxi, allora presidente del Consiglio. Allora come adesso, la Rai a singhiozzo espelle qualcuno: e Grillo fu espulso. Il suo antisocialismo, tuttavia, merita una riflessione, perché - ripensando un’altra volta alle parole di Risi - anche quello fu in realtà una recita, o per meglio dire una scelta di marketing: va’ dove ti porta la maggioranza. Negli anni Ottanta tutti i comici e tutte le barzellette dipingevano i socialisti come ladri; sul viaggio in Cina ironizzò persino Andreotti; a parte i socialisti, tutti in Italia moraleggiavano e/o ironizzavano sui socialisti.
Il conformismo profondo di Grillo è dunque la chiave del suo successo, prima come comico televisivo, poi, negli anni Novanta, come comico itinerante, infine come blogger (dal 2005) e come agitatore politico. Ad un attore di successo, del resto, non si richiede di far ragionare il pubblico, ma di farlo commuovere o divertire: e nulla serve meglio allo scopo dei luoghi comuni.
Ci sono poi, come per ogni personaggio famoso, i lati oscuri, le leggende nere e gli incidenti di percorso: uno, reale, costò la vita a tre persone, e valse a Grillo una condanna ad un anno e tre mesi per omicidio colposo plurimo. Lui stesso ha ammesso di essersi avvalso del condono fiscale del 2003, nonostante lo avesse criticato duramente. Sul suo blog ha confessato di aver posseduto una Ferrari, ma di averla sostituita con una politicamente corretta Toyota a motore ibrido. E ogni tanto qualche fuoriuscito racconta particolari decisamente staliniani in una leadership che si vorrebbe libertaria: valga per tutti il libro Webbe Grillo scritto nel 2008 da Gaetano Luca e Ivan Filice. Piccolezze, in fondo: non è qui che si trova il vero Grillo.
Il salto in politica - cioè il passaggio dal blog virtuale, che è il più visitato d’Italia e, secondo una classifica dell’Observer, il nono più influente al mondo, alla piazza reale - avviene con il già ricordato «Vaffa-Day»: centinaia di migliaia di persone in decine di piazze italiane, l’8 settembre 2007, mostrano ai media stupiti e preoccupati l’esistenza di un continente sommerso.

Due anni dopo - nel frattempo c’era stato il divertente tentativo di candidarsi alle primarie del Pd - Grillo fonda ufficialmente il «MoVimento 5 Stelle», che otterrà uno scarno successo alle Regionali del 2010 (fra il 2 e il 3%, con una punta del 6% in Emilia Romagna), e una più consistente affermazione alle amministrative dell’anno scorso (52 consiglieri eletti in 78 Comuni, soprattutto al Nord, quasi ovunque con percentuali fra il 5 e il 10%). Ma questa è ormai cronaca. E forse ci aiutano a leggerla, ancora una volta, le parole di Risi: «State tutti attenti: Grillo non è pazzo, fa il pazzo».

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