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Storie di giovani disabili che hanno vinto contro le discriminazioni

Dal bimbo americano, emarginato dalla foto di classe, all'alunno di Potenza escluso a scuola dalla prova di evacuazione. E poi la ragazza che ha ottenuto la cittadinanza italiana che le era stata negata

Se sei un disabile si comincia presto ad essere discriminati. Si inizia da bambini. E si prosegue da adulti. Ma guai a mollare. Bisogna combattere per i propri diritti. Sempre. Da bambini è giusto che ad aiutarti ci siano i genitori; quando si diventa grandi si può fare anche da soli, ma la solidarietà della gente è sempre un'«arma» in più, soprattutto sotto il profilo psicologico. Ne sa qualcosa Miles, il bimbo americano di 7 anni condannato alla sedia a rotelle ed «escluso» dalla foto di classe. Una storia commuovente che ha fatto il giro del mondo. Miles nello scatto era stato messo al lato, lontano dagli altri bambini. Un'immagine che ha indignato tutti. A cominciare dai suoi genitori, che hanno protestato col preside della scuola. Di qui la decisione- tardiva - di una nuova foto: questa volta con Miles insieme ai suoi compagni. Miles seduto sulla panca con tutti gli altri, e non più «emarginato» in un angolo sulla sua sedia a rotelle. In entrambi gli scatti Miles mostra però lo stesso meraviglioso sorriso. Che dovrebbe farci vergognare molti. Una storia - questa di Miles - che fa il paio con un altro episodio avvenuto in una scuola primaria di Gallicchio, paesino in provincia di Potenza, dove un bimbo è rimasto «bloccato» nella sua classe, senza la possibilità di partecipare alla prova di evacuazione prevista per l'istituto: «Lo abbiamo fatto per la sua sicurezza», si è difesa la preside. E che dire di tutti quegli studenti disabili di terza media, cui è stata negata la possibilità di partecipare alle prove Invalsi? Il ministro dell'Istruzione Carrozza ha promesso un'inchiesta. Vedremo se mai si passerà dalle parole ai fatti.
Ma a proposito di discriminazioni che non possono - e non devono - passare sotto silenzio, può dire la sua anche una ragazza italiana che da tempo ha iniziato una battaglia per il riconoscimento della cittadinanza italiana, negatagli dalla nostra burocrazia a causa dei suoi disturbi motori e del linguaggio. Adesso, il Tar del Lazio ha imposto alla pubblica amministrazione di riesaminare la vicenda sostenendo che «la carenza del linguaggio verbale non può essere motivo per ritenere una persona incapace di manifestare la propria volontà nè per sostenere che essa non possa in altro modo dimostrare di quanto meno comprendere la lingua italiana». Protagonista di questa storia è una giovane nata a Roma da genitori bosniaci da sempre residenti in Italia, affetta da una grave disabilità: un deficit intellettivo di grado medio grave, con assenza di linguaggio verbale e disturbo della coordinazione motoria. L'amministratore di sostegno della ragazza ha presentato ricorso al Tar per contestare il provvedimento con il quale nel marzo 2011 fu dichiarata inammissibile la richiesta di concessione della cittadinanza italiana, in quanto la disabile non sarebbe stata ritenuta in grado di manifestare la propria volontà. Il «no» infatti fu motivato con il fatto che la richiesta era stata firmata dall'amministratrice di sostegno, essendo la ragazza non in grado di manifestare la propria volontà, mentre la norma prescrive che le istanze da produrre alla pubblica amministrazione debbano essere sottoscritte dal diretto interessato.

In più nell'atto di rigetto si affermava che l'incapacità della ragazza di esprimersi le precludeva la possibilità di manifestare la sua volontà e impediva all'Amministrazione di valutare la sua conoscenza della lingua italiana e la sua «voglia» di diventare cittadina italiana. Mai arrendersi. Le battaglie continuano.

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