Roma - «La popolarità di Monti mette in crisi i partiti» titolava The Economist a fine febbraio scorso, mentre El Pais si interrogava su come potesse essere così gradito agli italiani (71% a novembre 2011) il premier dell'austerity e dei sacrifici. Dopo due mesi di governo, Monti era ancora su livelli di fiducia personali da record, oltre il 60%. Poi, settimana dopo settimana, il consenso è calato a picco, fino a dimezzarsi. L'ultimo sondaggio Swg per Agorà lo dà al 33%, il minimo storico da quando è in carica (e solo il 22% vorrebbe un secondo governo Monti), mentre secondo Ipsos/Ballarò Monti è meno gradito come futuro premier rispetto a Bersani e tallonato da Berlusconi e dal futuro candidato del M5S. I tempi sono cambiati, la luna di miele sfuma nel fiele. Non è difficile spiegare il crollo nel gradimento del professore. Gli indici economici reali, quelli vissuti sulla pelle di aziende e famiglie, sono tutti negativi, peggiori del 2011, l'anno del famoso «passo dal baratro» che ha richiesto l'intervento salvifico dei tecnici. La disoccupazione, che negli ultimi giorni del precedente governo era all'8,3% (29% quella giovanile) ha toccato due settimane fa il tasso record dell'11,1%, che arriva a livelli mai raggiunti per i giovani (36,5%).
La pressione fiscale, in Italia già molto sopra la media Ue (siamo il terzo paese su 27 dopo Danimarca e Svezia per carico fiscale), è aumentata di ben 2,2 punti percentuali in un anno di governo Monti, toccando il 44,7% nel 2012 (pari a 35 miliardi di tasse in più rispetto al 2011) per stabilizzarsi poi col 2013 in uno spaventoso 45,3% di imposte dirette. A cui si aggiungono quelle indirette, come le accise sui carburanti, aumentata di 9,9 centesimi al litro per la benzina e di 13,6 centesimi per il diesel. Insieme al superbollo (e ai blitz sulle auto di lusso) introdotto col salva Italia la manovra Monti ha contribuito a mettere in ginocchio il settore auto già in difficoltà. Risultato: in Italia chiude un concessionario d'auto al giorno. Una falcidia che riguarda le imprese in generale, soffocate dal calo della domanda e dal carico fiscale. Nel 2011, ultimo anno di Berlusconi, le cose già andavano male, con quasi 12mila aziende chiuse, una media di 35 al giorno. Ma il 2012 «montiano» è stato di gran lunga peggiore: tra gennaio e settembre sono state più di 76mila le imprese in Italia entrate in procedura di fallimento, pari all'1,3% del totale. Un'ecatombe spaventosa.
Colori cupi anche sulle economie famigliari. L'11% in meno rispetto al 2011 riesce a mettere via qualcosa a fine mese. Secondo un'indagine Censis-Confcommercio nei primi sei mesi del 2012 il 18% dei nuclei famigliari, ovvero 4,5 milioni di italiani, non è riuscito a coprire le spese mensili col proprio reddito, cioè non è arrivata alla famosa quarta settimana. Di conseguenza i consumi sono calati paurosamente (7 miliardi di euro in meno nel 2012), «mai così bassi dal dopoguerra» dicono le stime. E con i consumi e le imprese che chiudono peggiora anche il Pil italiano. Il dato Istat di metà novembre racconta che il Prodotto interno lordo è diminuito dello 0,2% rispetto al trimestre precedente e del 2,4% rispetto al 2011.
Sotto il governo Monti l'Italia è entrata ufficialmente in recessione, e non sembra destinata ad uscirne in fretta. Basti pensare che l'Ocse, nel suo Economic outlook di novembre, ha ritoccato al ribasso le stime sul Pil italiano, prevedendo un -2,2% per il 2012 e un -1% per il 2013, mentre sei mesi fa le previsioni erano migliori (-1,7% e -0,4%). Malgrado gli sforzi dei tecnici siano stati concentrati perlopiù sul debito pubblico, peggiora anche il debito pubblico, che raggiunge il record storico di 1.995 miliardi di euro, pari al 126,1% del Pil, sei punti più di un anno fa, solo la Grecia ha fatto peggio dell'Italia, che pure era guidata da Monti. Non basta, anche qui le previsioni Ocse sono pessime.
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