La tentazione del Pd: trovare l'accordo con Maroni e la Lega

C'è chi tifa Bobo per fare, della Lega, un nuovo interlocutore della sinistra. Ma qualche democratico avverte: "Può essere un grimaldello per indebolirci"

La tentazione del Pd: trovare l'accordo con Maroni e la Lega

L’allarme viene dalla prima pagina di Europa : «Pd, guardati da Maroni». «C’è una strana euforia nel Pd - annota Nino Bertoloni Meli, storico osservatore delle tortuose vicende della sinistra italiana- Si tifa per Maroni leader, come se sotto la gui­da di Bobo la Lega potesse diventare un in­terlocutore del centrosinistra ». Al contra­rio, sostiene Bertoloni Meli, il rischio è che la «nuova Lega» diventi «un grimaldel­lo per indebolire e scardinare il fronte di centrosinistra e metterlo all’angolo», per poi tornare all’alleanza con il Pdl. Ma davvero qualcuno a Largo del Naza­reno pensa, come il deputato semplice Da­niele Marantelli da Varese, che «se a capo di una Lega nuova e autonoma dovesse ar­rivare Maroni, è chiaro che si potrebbe tor­nare a dialogare»? Sul sito web di Maran­telli campeggia una foto che lo vede sorri­dente e abbracciato all’ex ministro dell’In­terno, tanto che verrebbe da pensare che sarà lui ad andare col Carroccio, piuttosto che Maroni col Pd. Ma la sua analisi è fon­­data e stringente: «Se i leghisti riprendono la propria autonomia, si troveranno di fronte a un trivio: ricontrattare un accor­do a destra con il Pdl; proseguire in solita­ria puntando a riacquistare l’identità per­duta; tessere alleanze a geometria variabi­le, quindi anche sul nostro versante». Ai piani alti del Pd nessuno è disposto a confermare, e così non resta che affidarsi a qualche indizio e a qualche segnale in­crociato. Innanzitutto, il fuoco di sbarra­mento preventivo di Europa : che accanto all’articolo prima ricordato pubblicava ie­ri un editoriale del direttore significativa­mente intitolato «Barbari misogini, non sognatori» e dai toni insolitamente duri: «Da Bergamo esce il peggio della Lega. È cinica, odia le donne e torna razzista».

E sic­come Europa , ora che l’Unità s’è subli­mata nel bersanismo «senza se e senza ma», è un punto di ri­ferimento privilegia­to per tutti gli opposi­­tori del segretario, vie­ne da pensare che Bersani un pensierino a Maroni l’abbia fatto sul serio. A Largo del Nazareno i problemi da af­frontare sono piuttosto seri: poiché tutti danno per certo che la riforma elettorale non si farà,il rebus delle alleanze per l’an­no prossimo resta irrisolto. Schiacciato nella foto di Vasto, ormai convinto che Ca­sini andrà da solo alle elezioni, Bersani ri­schia di perdere contro un centrodestra rinnovato lungo l’asse Alfano-Maroni,rin­giovanito e irrobustito dalla crescente op­posizione al governo Monti e alle sue tas­se. Come nel 1996, quando si presentò da sola favorendo la vittoria di Prodi, la Lega diventa decisiva: e se è assai improbabile un’alleanza organica fra il Pd e il Carroc­cio, perché non pensare ad accordi di desi­stenza che aiutino Maroni a superare il quorum e tolgano al Pdl la maggioranza in buona parte del Nord? Del resto, qualcu­no vicin­o a Bersani ri­corda che Matteo Sal­vini, maroniano di stretta osservanza e «barbaro» più reali­sta che sognatore, da giorni va ripetendo che la Lega ha le mani libere, che gli accor­di si possono fare con tutti perché quel che conta è il programma, e che insomma si riparte da zero anche in tema di allean­ze. Torna alla mente quella famosa battuta dalemiana sulla Lega «costola della sini­stra ». In realtà D’Alema intendeva un da­­to oggettivo: nasceva la Seconda repubbli­ca e Bossi al Nord strappava voti (anche) al Pci-Pds. Ma fu lo stesso D’Alema, in vi­sta delle elezioni regionali del 2000, a ten­tare con il Carroccio l’accordo che avreb­be cambiato la storia politica d’Italia: offr­i­re a Maroni la candidatura di governatore della Lombardia. Proprio Maroni, del resto, che pure s’era opposto al«ribaltone»del ’96 al pun­to di rischiare l’espulsione dal partito, era stato nominato da Bossi all’inizio del ’97 capo della «corrente di sinistra» del Car­roccio e plenipotenziario nei rapporti con il Pds. In quei mesi il futuro ministro del­l’I­nterno di Berlusconi si fece persino foto­grafare con una copia dell’ Unità in mano.

Nel 2000, a ogni modo, l’accordo non si chiuse soprattutto per l’ostilità di gran par­te del centrosinistra (che peraltro aveva già deciso disfrattare D’Alema da Palazzo Chigi), e l’Ulivo candidò Martinazzoli. L’accordo con la Lega lo fece invece Formi­goni, che tornò trionfalmente al Pirellone con il 62% dei voti, certificando la ritrova­ta alleanza fra Bossi e Berlusconi, da allo­ra e fino alla nascita del governo Monti mai venuta meno. Difficile immaginare come andrà ades­so.

La percezione di un vero e proprio ter­remoto politico è in arrivo, ma nessuno sa prevederne i contorni e soprattutto gli esi­ti. Quel che è certo, è che mentre cresce la tempesta dell’antipolitica, i politicanti si affannano in ogni direzione nella speran­za di trovare un approdo sicuro.

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