Il tramonto di Di Pietro tra nuovi scandali e flop politici

Rinuncia al simbolo per correre con Ingroia. E raccoglie firme per un referendum impossibile

Il tramonto di Di Pietro tra nuovi scandali e flop politici

È successo tutto in poche settimane. Le inchieste. Gli scandali. Un'offerta più seducente al market dell'estremismo legalitario. Per salvarsi dal naufragio Antonio Di Pietro ha deciso di saltare giù da quella zattera alla deriva che è ormai l'Italia dei valori. E si è imbarcato sul veliero «corsaro» con le insegne di Antonio Ingroia, il pm che ha cannibalizzato il movimento Arancione dell'ex pm Luigi De Magistris che a sua volta aveva fagocitato l'Idv del pm di Mani pulite Antonio Di Pietro. I figli mangiano i padri, come nella mitologia greca, così il fu Tonino nazionale è stato costretto a fare buon viso a cattivo gioco e a dichiarare con parole altisonanti la sua adesione a «Rivoluzione civile»: «La scelta di unirci a Ingroia è stata naturale, perché non ha avuto paura di affrontare il tema dei temi di questi anni: quello dei sistemi deviati delle istituzioni». Un bel cerotto nouvelle vague, dunque, sulle ferite per nulla rimarginate di queste settimane.

L'altro ieri, anche se pochi se ne sono accorti, hanno arrestato pure Mario Mautone, l'ex potente provveditore alle opere pubbliche di Campania e Lazio che nel 2008, in tutt'altra vicenda, quella del cosiddetto sistema Romeo a Napoli, si era fatto beccare mentre ascoltava le richieste di raccomandazione calorosamente srotolate al telefono da Cristiano Di Pietro, figlio di Antonio. Altri tempi. Allora Di Pietro senior se l'era cavata con uno dei suoi show: «Mio figlio avrebbe segnalato un paio di nominativi di bravi professionisti. È un comportamento certamente senza alcuna rilevanza penale, ma, a mio avviso, comunque non opportuno e non corretto».

Ma sì, Di Pietro aveva picchiato il pugno sul tavolo del rigore e dell'intransigenza, come se Cristiano non fosse il proconsole del suo partito in Molise. Allora i molti ex dell'Idv, pentiti e ripentiti per la scelta incauta, puntavano il dito contro il clan Di Pietro e parlavano di una gestione allegra dell'Idv. Ma quel che dicevano gli Elio Veltri e poi tanti altri non aveva presa sull'opinione pubblica. E lui si ergeva a giudice inflessibile del rampollo e delle sua amicizie pericolose. Così scivolose che oggi Mautone è di nuovo in cella, per gli appalti milionari della polizia. Intanto, lo scenario è cambiato: sono arrivate le inchieste devastanti di Milena Gabanelli, poi sono stati colti con le mani nel sacco, dal Lazio all'Emilia, i Maruccio e i Nanni e poi ancora la strada si è fatta sempre più difficile. Il tentativo di rientrare nell'alleanza Pd-Sel è fallito e Bersani ha alzato un muro che ha chiuso Di Pietro nel suo ghetto. De Magistris e Ingroia gli hanno portato via il mestiere, Massimo Donadi, con la sua scissione del Centro democratico, si è portato via un pezzo del partito.

Siamo ai titoli di coda. Alla confluenza, quasi anonima, in un movimento che aggiorna quello da lui stesso brevettato negli anni Novanta. Di Dietro, per rilanciare, si è inventato i referendum anti Fornero, raccogliendo pure un discreto gruzzolo di firme. Peccato che lo sforzo sia, come dire, platonico, perchè in questa stagione elettorale i referendum non si possono fare.

E la foto scattata ieri in Cassazione, per il deposito del firme, rappresenta davvero un finale grottesco: Tonino con il rifondarolo Paolo Ferrero e il verde Angelo Bonelli. Peggio di una condanna per lui che odiava i comunisti e amava il decisionismo tecnocratico.

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