Travaglio impunito se diffama il Colle

Travaglio può dire quello che vuole senza che nessuno gli chieda conto di nulla

Travaglio impunito se diffama il Colle

Due pesi e due misure. Si configurano evidentemente come vilipendio al capo dello Stato gli articoli reiteratamente diffamatori di Marco Travaglio su Il Fatto di mercoledì 14 e di giovedì 15 agosto, nei quali Napolitano è ridicolizzato con espressioni e considerazioni insolenti e offensive, con riferimento ad arbitrii, abusi, ingerenze politiche, ignoranza delle leggi e delle norme, fino al sarcasmo e alla irrisione per l'età del presidente (chi l'avrebbe tollerato per la Levi Montalcini?): «Nell'attesa, resta lo spettacolo grottesco e avvilente del Quirinale trasformato per due settimane in un reparto di ostetricia geriatrica, con un viavai di giuristi di corte e politici da riporto travestiti da levatrici con forcipi, bende, catini d'acqua calda, codici e pandette, curvi sull'anziano puerpero per agevolare il parto di salvacondotti, agibilità e altri papocchi impunitari ad personam per rendere provvisoria una sentenza definitiva e cancellare una legge dello Stato... la Severino su incandidabilità e decadenza dei condannati. Ieri sera, al termine di una lunga attesa che manco per il principino George, il partoriente ha scodellato un mostriciattolo che copre ancora una volta l'Italia di vergogna e ridicolo. Ma è solo l'inizio: coraggio, il peggio deve ancora venire».

Nessun dubbio che il vilipendio, anche nel senso etimologico del termine, sia del tutto evidente, e davanti a una platea di migliaia di lettori. Si aggiunga che questa arroganza squadristica contro il garante della democrazia è la cifra abituale del Travaglio, e che essa si riscontra in numerosi altri articoli, in nessun modo semplicemente ironici e satirici, ma esplicitamente offensivi nei confronti del presidente Napolitano; e nessun magistrato, davanti alla evidenza, ha ritenuto di applicare la tanto rivendicata «obbligatorietà dell'azione penale». Perché?

Si può dunque liberamente insultare e letteralmente infangare il capo dello Stato? Risulta che sia stato abolito il reato di vilipendio al capo dello Stato? E, se no, in quali circostanze dev'essere evocato? Io lo so perché a me non è stata risparmiata una denuncia di ufficio anche per questa materia.

E per considerazioni molto meno argomentate e insinuanti. Si era a Firenze, nel 1993, per la presentazione di un dizionario della lingua italiana per le scuole. Nel divertimento delle battute, e con riferimento all'attualità, dissi: «Il presidente della Repubblica non ha le palle». Si trattava di Oscar Luigi Scalfaro.
Prontamente la macchina della giustizia, solerte, si mise in moto: un agente della Digos registrò la frase incriminata immediatamente inoltrandola alla autorità giudiziaria che provvide a notificarmi la denuncia, oggetto di un lungo e pregevole dibattito alla Camera dei deputati per verificare l'applicabilità dell'articolo 68 che definisce i termini della insindacabilità per le opinioni espresse da un parlamentare. Al termine degli interventi io chiesi un incidente probatorio per verificare se il presidente avesse le palle o meno.

E tutto finì in una risata liberatoria.

Ora, per ben più gravi affermazioni, vedo che Travaglio gode di una immunità ben più ampia, potendo dire quello che vuole, con evidente denigrazione delle istituzioni e palesi menzogne, senza che nessuno gli chieda conto di nulla, e tanto meno si proceda d'ufficio, nei suoi confronti come nei miei.
La magistratura, complice, non vede e non sente.

Se

l'autorità giudiziaria non procederà a indagarlo per vilipendio al capo dello Stato, per la notitia criminis costituita dai numerosi articoli contro il presidente Napolitano, provvederò a denunciarlo io.

press@vittoriosgarbi.it

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