Tre vite rovinate da un capriccio in stile videogame

Dietro l'omicidio di Udine, la solitudine di un uomo e il mondo di certe adolescenti ignoto anche ai genitori. Dopo il delitto, hanno confessato a due estranei

Le due 15enni e Mirco Sacher in una gelateria
Le due 15enni e Mirco Sacher in una gelateria

Lambrusco, pasta e canne. Un vino popolano per far finta di essere già signore, un piatto di minestra per ricordare di tirarsi grandi con quel che si ha, un paio di spinelli, per dimenticarsi di chi si è. E dove e come. L'ultimo «pasto» prima che la domenica diventasse irreparabile racconta bene, per quanto le si riesca a raccontare, le due quindicenni di Udine che lo scorso 7 aprile hanno ucciso Mirco Sacher, ex ferroviere di 67 anni e amico di famiglia. Famiglia... Una delle due ragazzine è orfana di madre dall'età di tre anni, l'altra ha i genitori separati già da molto tempo, ma non è questo il punto. Non è l'assenza fisica (di una mamma morta prematuramente o di un padre che, come tanti, se n'è andato di casa) a colpire in tutta questa storiaccia, quanto l'assenza di uno sfondo percepibile. Non un pianto sulla spalla di qualcuno con lo stesso loro sangue, non un pensiero per chi le attendeva a casa durante quella strampalata fuga dopo l'omicidio, durata undici ore e duecento chilometri e abortita subito per incapacità, o panico, o presunzione di cavarsela con una storia di tentato stupro raccontata bene. Non una telefonata, una confessione in lacrime, una richiesta d'aiuto a un parente. Dopo la mattanza «da videogame», dopo aver pasticciato quel cadavere in ogni modo (trascinandolo, saltandoci sopra, sbottonandogli gli abiti e abbassandogli le mutande) non sono corse da una madre, da un padre, da una nonna a raccontare cosa avevano fatto, hanno provato ad andarsene via. Ed è stato a due estranei incontrati durante la fuga che hanno confessato tutto ed è da loro che si sono lasciate convincere a costituirsi. A due estranei sono andate a dire che sapevano che odore aveva il sangue, che è ferroso e morbido.
«Impossibile, mia figlia non sa guidare, non può aver fatto tutta quella strada da sola» ha dichiarato dopo il fermo la madre di una delle due. Invece sembra che la figlia sapesse, sappia guidare eccome (a parte qualche problema con la retromarcia) e che della figlia, la signora, ignori anche tante altre cose. Come gli sfoghi su Facebook dove tutte ormai finiscono col mettersi in mostra come mandrie, e dove finiscono col raccontare di loro stesse più di quanto facciano tra le pareti di casa. Le loro foto erano appiccicate su quelle bacheche virtuali in tutta la loro ribellione: le vacanze negate, le sigarette, la noia per i corsi di estetista e parrucchiera, la voglia di cose che non potevano avere, i nomignoli, la rabbia, l'incuria di tutto, le pose goffe delle giovani che diventano subito mocciose quando si mettono a scimmiottare le trentenni. Le rivendicazioni, la grammatica incerta, l'immaginazione sterminata da un orizzonte corto. Perché la mente è come un paracadute. Funziona solo se si apre.
È incredibile come la realtà arrivi ormai in differita rispetto alle sollecitazioni tecnologiche. Scontente e sole, in quei palazzoni grigi tutti uguali con centinaia di nomi sui citofoni e la luce al neon in ingresso che sta sempre per tirare gli ultimi e ronza come se ci fosse finito dentro ad abbrustolirsi un esercito di zanzare.
Era chiaro cosa ci vedessero loro, agili, forti, piene di desideri ma senza un soldo, in quei pomeriggi a casa di un attempato cavalier servente, di quell'uomo con una faccia da poche speranze che accettava di buon grado il loro affetto contrattuale. Che ricaricava i loro telefonini, le accompagnava in centro a sgolosare davanti alle vetrine e toglieva magari loro qualche sfizio e comprava il vino per il pranzo. E cucinava per loro la pasta e si lasciava insultare e lasciava che loro, arrabbiate, insoddisfatte o semplicemente bulle, prendessero a calci la sua macchina parcheggiata in cortile, dove tutti i vicini potevano vedere. Però vuoi mettere? Poterle accontentare e in cambio godere della loro compagnia che profumava di fresco. Non importavano quei prelievi al bancomat di tanto in tanto dai risparmi che si era tenuto tutta una vita. Poche cose, per vederle sorridere un attimo. Poi in fin dei conti chi se le merita le bollicine di un affetto gratuito? E loro erano così brave a chiedere e a ottenere, e a far capricci. Così energiche nell'arrabbiarsi. «Non voglio più che mettiate le mani nel mio portafoglio» si era ribellato solo una volta Sacher, proprio domenica, proprio davanti alla cassiera del supermercato. Ma in fin dei conti, cos'erano i risparmi di una vita, i 1300 euro al mese di pensione tenuti lì sul conto ad ammuffire per chissà cosa? Forse si era già pentito Mirco. Perché non stare con loro era peggio e vederle contente era tutto.
Quelle deliziose bambine capricciose che gli movimentavano la vita. E che volevano tante cose. Come tutte. Solo che alcune bambine capricciose nascono ammaccate, spuntate, come la madreperla di un bottone. E si usano male nella vita.

segue a pagina 17

di Valeria Braghieri

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica