Il triangolo no, non riuscirà a governare

Una cosa giusta capita a tutti di dirla ed è successo persino ad Antonio Di Pietro. Riassunta fa così: ma che c'azzeccano la coscia fasciata nel cilicio e il lobo bucato dall'orecchino? Eh sì. Perché poi come diceva Pietro Nenni, che di cose giuste ne ha dette più di Tonino, «le idee camminano con le gambe degli uomini», e anche: «Nulla si può sperare dall'alto, tutto dal basso». E allora il gentlemen agreement fra tre rispettabili signori potrebbe pure riuscire sulla carta, magari approfittando dell'ars oratoria di Nichi Vendola, che tanto quando parla si capisce metà di quel che dice, della mediazione di scuola democristiana di Pier Ferdinando Casini, e della forza della disperazione di Pier Luigi Bersani, che in fondo fino a qui è riuscito a tenere assieme ex Ds ed ex Dl, è bastato non decidere mai nulla, o quasi. Solo che poi bisogna immaginarsi il consiglio dei ministri, o i banchi della maggioranza. E quindi tenere conto dei dialoghi surreali che andrebbero in scena, per dire, sulle unioni omosessuali tra le due Paole, l'ultra cattolica Binetti e la lesbica Concia, o sull'articolo 18 tra un impolverato Lorenzo Cesa e quell'Alfonso Gianni, ex sottosegretario allo Sviluppo di Prodi, già deputato nientemeno che del Partito di unità proletaria per il comunismo.

Gli sventurati mediatori democratici chiamati a scrivere un programma scovando i punti di contatto tra Udc, Pd e Sel (in ordine da destra a sinistra) hanno già le mani nei capelli. Un mezzo accordo lo si potrebbe trovare sulla Patrimoniale in cambio dell'Imu, giacché Casini almeno una volta qualche mese fa sul tema fece una mezza apertura, e quindi magari si potrebbe introdurre la prima riducendo un pochino la seconda, chissà. Sul resto è scontro tra due mondi, senza che all'orizzonte si intraveda un Garibaldi in grado di unirli. In fondo basta guardare alle ricette anti-crisi varate in questi mesi da Mario Monti, che dalla riforma delle pensioni al pacchetto Salva Italia hanno ottenuto il sostegno incondizionato dell'Udc e il totale disaccordo di Sel.

Trattasi, a ben guardare, di una visione opposta del concetto di «responsabilità». Va ripetendo Casini che «sul patto di serietà e di responsabilità che abbiamo stretto intorno a Monti noi dobbiamo continuare anche in futuro». Avverte da mesi invece Vendola che lo «scellerato» patto intorno al governo dei banchieri va seppellito. Non a caso, ancora di recente Nichi diceva che «un'alleanza fondata su un accordo preferenziale Pd-Udc non mi trova interessato», con avviso a Bersani: senza Idv non firmo nulla. Mentre la settimana scorsa Pierferdy metteva il veto: ci alleiamo col Pd solo se non ci sono Sel e Idv.

E uno dice vabbè, ma tanto ormai le riforme le ha fatte Super Mario. Già. Solo che quel che resta da fare e da gestire, è abbastanza per immaginarsi la lotta continua. Liberalizzazioni e privatizzazioni sono «rozze ma necessarie» o sono un tabù? Le scuole cattoliche vanno sostenute al pari di quelle statali o il «concordato» va rivisto? La flessibilità sul mondo del lavoro è inevitabile o è «una dichiarazione di guerra di classe»? E le grandi opere come la Tav sono il progresso o «giostre per tangenti e corruzione»? Per non parlare delle unioni gay, che Casini ha bocciato senza se e senza ma beccandosi da Vendola l'accusa di usare un «linguaggio violento».

È il riproporsi della vecchia guerriglia interna all'Unione di Prodi, che passò i mesi al governo a scannarsi sui Dico, ed è il ripetersi su larga scala delle divisioni che già attanagliano il Pd, eternamente diviso fra post democristiani e post comunisti, cattolici e laici.

Bersani lo sa e infatti ha introdotto la clausola in base alla quale i partiti della coalizione dovranno rassegnarsi a «cessioni di sovranità» e accettare che sui temi oggetto di lite i gruppi parlamentari possano decidere «a maggioranza». Sarà per questo che lo vogliono chiamare Polo della Speranza. Solo che «chi visse sperando, morì...».

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