Vaticano, l'ultima "eretica": una suora che scrive di sesso

L’americana Margaret Farley all’indice per un libro in cui parla di unioni gay e seconde nozze. Ma è lunga la lista di religiosi sotto la lente dell’ex Sant’Uffizio

Vaticano, l'ultima "eretica": una suora che scrive di sesso

L’ultima eretica si chiama Mar­garet A. Farley. È una suora statu­nitense, autrice del libro «Just Lo­ve. A Framework for Christian Sexual Ethics». L’ex Sant’Uffizio, la Congregazione per la dottrina della fede, diretta un tempo da Jo­seph Ratzinger e oggi affidata (il suo mandato finirà a breve) al car­dinale William Joseph Levada, l’ha messa all’indice senza tutta­via comminarle alcuna sanzione. Ma la Notificazione - così si chia­ma il­documento uscito dalle pen­ne dei teologi in forza al Vaticano­basta e avanza per sconfessare pubblicamente un libro ritenuto «in diretto contrasto con la dottri­na cattolica nell’ambito della mo­rale sessuale». Margaret A. Farley appartiene alle «Sisters of Mercy of the Ameri­cas » e per il Vaticano è soltanto l’ultima delle tante - tantissime ­suore ribelli risiedenti sul suolo nordamericano. Il suo scritto è «non conforme alla genuina teolo­gia cattolica» in particolare quan­do parla di «atti e unioni omoses­suali, masturbazione, indissolubi­lità del matrimonio, divorzio e se­conde nozze». Suor Farley punta il dito diretta­mente contro le gerarchie della Chiesa, colpevoli a suo dire di non adeguarsi alla contemporaneità. Le patchwork families - come le ama chiamare il primate di Vien­na, il cardinale Christoph Schö nborn - e cioè le cosiddette fami­glie ricostituite, dove si affianca­no parentele e legami variegati e complessi (figli di lei o figli di lui, fi­gli della nuova coppia...), sono una realtà.

Ma mentre per Schö nborn la soluzione è da cercarsi al­l’interno dell’alveo della dottrina della fe­de, per suor Farley no: il momento del cam­biamento è arrivato, dice. A queste fami­glie, ai problemi ine­renti alla morale ses­suale che queste fami­glie si trovano ad af­frontare, occorre apri­re le porte senz­a arroc­carsi a difendere posi­zioni giudicate vetuste. Quanto al­l’impegno matrimoniale, ad esempio, la suora sostiene che questo deve essere «soggetto a scioglimento per le stesse ragioni fondamentali per le quali ogni im­pegno permanente, estremamen­te grave e quasi incondizionato, può cessare di esigere un vinco­lo ». È a motivo di queste posizioni che il Vaticano ha reagito dichia­rando che il libro della suora «non può essere utilizzato come valida espressione di dottrina cattolica né per la direzione spirituale e la formazione né per il dialogo ecu­menico e interreligioso». Negli ultimi anni non sono po­chi coloro che sono finiti sotto la lente indagatrice dell’ex Sant’Uffi­zio. Ratzinger, infatti, già «wa­tchdog » della fede ai tempi di Gio­vanni Paolo II, ha dato disposizio­ne a Levada di vigilare e di vigilare a dovere. E così è accaduto recen­temente con altri religiosi.

Tra questil’indiano Anthony De Mel­lo, il belga Jacques Dupuis, e lo spagnolo Jon Sobrino, esponente di spicco della teologia della libe­razione. Tra gli americani c’è an­cora un nome che merita di essere annotato, quello di suor Elizabeth A. Johnson, ancora oggi, negli Sta­ti Uniti, un caso editoriale. Nel 2007 è uscito il suo «In cerca del Dio vivente - Quest for the Living God» e ancora oggi il libro vende e fa parlare di sé. Suor Elizabeth in­segna teologia sistematica nel­l’università dei gesuiti di New York, la Fordham University, no­nos­tante la commissione dottrina­le dell’episcopato americano pre­sieduta dall’arcivescovo di Washington, il cardinale Donald Wuerl, l’abbia ampiamente cen­surata. Wuerl, in uno statement , ha spiegato che la preoccupazio­ne prima dei vescovi della com­missione dottrinale era di mettere sull’avviso «quegli studenti che leggendo questo libro possono es­sere indotti a pensare che questo sia anche l’insegnamento autenti­co della Chiesa». Perché sono al­meno sette i punti sui quali le tesi di suor Elizabeth si distaccano dal­la dottrina della Chiesa.

A traballa­re sarebbero i dogmi della trinità di Dio e della creazione, a vantag­gio di un’idea del divino imma­nente al mondo, molto imbevuta di scetticismo illuminista. Non so­lo. Suor Elizabeth negherebbe che Gesù Cristo sia l’unico salvato­re di tutti, perché, a suo giudizio, solo la somma tra il cristianesimo, l’induismo, il buddismo, l’islam, eccetera consentirebbe di cono­scere la verità di Dio. Ma,a conti fatti,l’affondo del Va­ticano più difficile da digerire per i gesuiti statunitensi resta quello mosso ormai sei anni fa contro l’ex direttore del settimanale Ame­rica , Padre Thomas Reese. Un af­fondo che sanguina ancora oggi. Nel 2005 si dimise da America do­po sette anni di direzione. Tutti ne­gli Stati Uniti scrissero che venne allontanato dal Vaticano per le prese di posizione della sua rivista troppo liberal, in particolare su te­mi come i matrimoni gay, i rappor­ti con l’islam, l’atteggiamento che i politici devono tenere sull’abor­to.

L’attrito di Reese con Roma nacque nel 2000, quando uscì il documento «Dominus Jesus» che ribadiva la visione del cattolicesi­mo come strada principale per la salvezza dell’uomo e la sua sostan­ziale supremazia per questo sulle altre religioni. Reese criticò il do­cumento mettendosi contro l’allo­ra cardinale Ratzinger.

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