Il passato che torna presente. C'è un'ombra che aleggia alle spalle di Bersani. Fausto Bertinotti è il fardello che assilla i democratici. Non lui come esponente politico - ché l'ex presidente della Camera è ormai fuori dai giochi - se non lui come paura del tempo che fu. Quel tempo risale al 1998, quando il governo Prodi cadde proprio per mano sua. E oggi, come allora, il volto di Bertinotti assume le sembianze del compagno del partito "traditore", il Prc.
Nichi Vendola è il nuovo spauracchio della sinistra. Ma non solo. Ora che i sondaggi hanno ridotto la forbice tra le due maggiori coalizioni contrapposte, il rischio dell'ingovernabilità (per non dire dell'insuccesso) è sentito a Largo del Nazareno. Bersani ha più volte difeso il leader di Sel, cofirmatario della carta d'intenti, rivendicando la solida alleanza e ribattendo alle reiterate richieste montiane di tagliare le ali estreme.
Eppure, il timore che, in una prossima allenza Pd-Monti, Vendola possa emulare il compagno Bertinotti è alto. E lo si evince dalle dichiarazioni di alcuni big del partito. Proprio oggi, l'ex premier Romano Prodi, in una intervista al Sole24Ore, l'ha detto chiaro e tondo: "Mi auguro per l’Italia che le forze riformiste riescano dopo le elezioni a stringere un patto di ferro che duri una legislatura. L’unità della coalizione è la prorità delle priorità, e io sono ottimista. Vendola non è Bertinotti".
Peccato però che fu lo stesso Prodi a garantire sulla stabilità e affidabilità di Bertinotti. All'epoca non ci prese. Che sia la volta buona? È presto per dirlo, nonostante i malumori relativi a una coabitazione con Monti, Nichi Vendola non li abbia mai nascosti. Tuttavia, Prodi si fida (o chiede affidabilità?). Nel pomeriggio, ha ripetuto il concetto in piazza Duomo: "Una squadra che, a differenza del passato resterà unita, perché ha imparato la lezione del passato, e perché è fatta di uomini diversi". Anche il sindaco di Firenze si fida del governatore della Puglia. E si spinge oltre: "Il governo di Bersani, in caso di vittoria alle elezioni, durerà cinque anni e non succederà quanto accaduto con gli esecutivi guidati da Romano Prodi, abbiamo già litigato abbastanza per far pagare ancora agli italiani le nostre dispute e le nostre scaramucce".
Nemmeno tre mesi fa, Matteo Renzi - all'epoca in lotta con Bersani per le primarie del centrosinistra - tuonava: "Chi ha visto il governo Berlusconi si è reso conto che le promesse non le ha mantenute, ma bisogna dire che una parte di responsabilità ce l'ha quella sinistra che, quando è andata al governo, e Vendola è uno di questi perché lui allora c'era, ha fatto cadere due volte il governo Prodi, diciamo le cose come stanno, se nel 1998 il governo Prodi é andato a casa è stato perché lo hanno mandato quelli di sinistra''. Il vento cambia anche per Renzi, insomma.
La posizione del premier dimissionario invece non è cambiata. "Vediamo il formarsi di un polo Pd-Sel che assomiglia molto a quei poli della sinistra che all'epoca del pur valente presidente del Consiglio Prodi per due volte gli si sono sgretolati in mano". Persino un altro dei vecchi fantasmi della sinistra, Clemente Mastella, nel luglio scorso paventava lo stesso rischio, pur imputandolo all'infausta alleanza con l'Udc di Casini. "Senza una maggioranza di larghe intese, il prossimo esecutivo rischia seriamente di fare la fine del nostro governo (quello Prodi 2006-2008, ndr)".
Insomma, chiamatelo Vendola, Bertinotti o Mastella, ma la sostanza è uguale: il centrosinistra rischia di sgretolarsi con le proprie mani. Non è un caso che Massimo D'Alema sia intervenuto negli ultimi giorni per fare quasi da mediatore o da paciere tra Monti e Vendola. I risultati dell'intercessione sono ancora scarsi. Il governatore della Puglia si fida del segretario democratico, ma ha avvertito: "L’alleanza non è un guinzaglio e io non sono un cagnolino da salotto dentro il centrosinistra". A buon intenditor poche parole.
Insomma, toccherà solo vedere se l'offerta di un ministero avanzata da Bersani basterà a "governare" Vendola. Sempre nel caso in cui si realizzi. Intanto, nel pomeriggio in piazza Duomo, il leader di Sel ha precisato: "Nel futurogoverno io non sarò un elemento di disturbo ma garanzia di governabilità e stabilità".
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