Le verità nascoste sui "mostri" in divisa

Stesso reato, stessa condanna per la morte di Aldrovandi: due agenti in cella e due fuori. Le bugie sul sit in di Ferrara

Le verità nascoste sui "mostri" in divisa

Roma - Questa è una storia di straordinaria ingiustizia, collaterale a un'altra storia più triste su cui non intendiamo entrare per rispetto a chi non c'è più e a chi soffre. La storia è quella dei quattro poliziotti condannati a 3 anni e 6 mesi per «eccesso colposo in omicidio colposo» per la morte del diciottenne studente ferrarese Federico Aldrovandi. Enzo Pontani, Luca Pollastri, Paolo Forlani e Monica Segatto si beccano una condanna per un reato «colposo» e non «volontario».

In forza dell'indulto che «condona» tre anni, con la pena residua di 6 mesi, gli agenti chiedono l'affidamento in prova ai servizi sociali e i domiciliari previsti per chi ha da scontare fino a 18 mesi. È la legge a prevederlo. Nonostante ciò, i quattro finiscono in galera. Due poliziotti a Ferrara, l'agente Segatto al femminile di Rovigo, un terzo verrà arrestato di lì a poco. Tutti fanno istanza di scarcerazione: il tribunale di sorveglianza manda a casa la ragazza, quello di Bologna dice no, per lo stesso identico reato, per la stessa condanna e per il medesimo processo.

Il sindacato di polizia Coisp attua iniziative per protestare sulla scorretta applicazione del decreto «svuota carceri». Il messaggio che passa, però, viene stravolto fino al sit-in del 27 marzo «sotto la finestra del Comune dove lavora la madre di Federico Aldrovandi». Quel giorno era in programma un convegno a 200 metri dal sit silenzioso di piazza Savonarola che dà le spalle al Comune di Ferrara dove nessuno dei presenti sa (lo dimostrano alcuni filmati) che lavora la madre di Aldrovandi. In piazza si presenta anche Potito Salatto, uno dei parlamentari che ha aderito all'invito del convegno, ripreso in un video mentre discute col sindaco Pd Tiziano Tagliani che qualche minuto prima aveva invitato il segretario del Coisp, Franco Maccari, a spostarsi per ragioni di opportunità (evitando di spiegare quali fossero). Incrociando Salatto, il sindaco gli fa invece presente (un altro video lo dimostra) che dietro le finestre del Comune che affacciano sulla piazza del sit-in, lavora la signora Patrizia Moretti, mamma di Aldrovandi. Lei, dopo aver scritto sulla sua pagina Facebook «ecco il gruppo Coisp che manifesta sotto il mio ufficio la solidarietà a Pontani, Forlani, Segatto, Pollastri responsabili dell'omicidio di mio figlio. Sono poliziotti. Sono come quei 4?», si scende in strada con la foto del figlio morto. A quel punto i poliziotti lasciano la piazza per evitare problemi e dirigersi al convegno dove si dicono dispiaciuti per quanto accaduto a loro insaputa. Ma è troppo tardi.

La politica nazionale s'indigna, la senatrice ferrarese del Pd Bertuzzi fa scattare la solidarietà di Palazzo Madama per quanto accaduto «sotto le finestre della mamma», c'è chi chiede lo scioglimento del sindacato e l'allontanamento del questore (che sarà rimosso). Gli hacker di Anonymus attaccano, oscurano il sito del Coisp mentre Maccari le prova tutte, senza riuscirvi, per contattare la madre di Aldrovandi e spiegare l'incomprensione. Su internet e sui giornali i titoli sono contro i «poliziotti in strada contro la madre». Un delirio. Fino a quando il questore Luigi Mauriello convoca una conferenza stampa e lascia di stucco i presenti e il sindaco Pd che gli siede a fianco. «Qualcuno ha detto che addirittura (la finestra, ndr) affacciava sulla piazzetta. Cosa che non è proprio in questi termini. Affaccia in un altro cortile di un'altra ala del palazzo». Il sindaco sdegnato, annuisce. E non replica nemmeno alla bordata dell'ex senatore Alberto Balboni, presente al sit-in: «L'ufficio della signora Moretti affaccia lontanissimo, sul giardino delle duchesse, dunque da tutt'altra parte».

Nel frattempo il poliziotto Pontani, cui il tribunale di sorveglianza di Bologna aveva rigettato la scarcerazione, la ottiene a Milano dov'è stato appena trasferito. Al che c'è da chiedersi se a Milano e Padova vige la stessa legge seguita a Bologna, e viceversa. Se è una giustizia giusta quella che lascia due poliziotti in cella e due li fa uscire per lo stesso fatto e la medesima condanna.

Si potrebbe dire lo stesso dei poliziotti della Diaz, Canterini e Caldarozzi: avevano un residuo pena da scontare (3 mesi il primo, 8 il secondo) per «falso». Li hanno umiliati negando loro l'affidamento in prova ai servizi sociali che si dà a chiunque, anche a stupratori e killer. Ora sono agli arresti domiciliari. Ingiustizia è fatta.

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