La poetessa Sylvia Plath, che conosceva l'umanità e se ne doleva, scriveva che «ogni donna ama un fascista». La Littizzetto, che usa l'umanità per divertirsi al botteghino delle idee facili, al primo buffetto («Se non ora, quando?») va dal magistrato a denunciare quello stronzo che l'ha toccata.
Io odio la violenza sulle donne, non sono disposto a perdonarla per alcun motivo, e per questo non ho mai capito come la sinistra internazionale radical chic abbia potuto trovare in fondo elegante e amabile («Che peccato, che peccato quella storiaccia nell'albergo») quel tipo di predatorio, di rapace del sesso, che è il loro idolo nascosto Dominique Strauss Kahn, mentre ha dannato gli scherzi da cherubino e le malandrinate cochon del dolce e gentile Silvio Berlusconi.
Non ho mai capito come possano le varie Littizzetto accogliere senza il vaglio della loro identità universalistica il particolarismo islamico, la religione civile fondata sull'esclusione della donna dai diritti non familiari, e sulla divinizzazione del potere brutale del capo famiglia sulla sua compagna o sulle sue compagne di sesso femminile, eppoi darsi allegramente alla denuncia del maschilismo occidentale.
Odio quella violenza, ma anche per le ragioni ora ricordate sento che la campagna sul femminicidio, come quella sui matrimoni gay, come quella sull'omofobia, come ieri quella sul diritto di avere figli o sul diritto di morire, è solo parte di un gigantesco movimento nella direzione del banale universale che anche in Italia, dove il fondo cristiano-cattolico aveva fino adesso funzionato da revulsivo, sta per trionfare definitivamente.
Sanremo è stata la prova generale del regime politicamente e ideologicamente corretto che ci aspetta. Con l'eccezione del grandissimo Tony Renis e del suo amico Celentano quando ancora era Celentano (ricorderete la danza provocatoria all'insegna del motto sovversivo da clan a clan: «Anch'io ho amici criminali»), il Festival della città dei fiori è sempre stato una cerimonia di cementificazione edificante delle coscienze, un andare a letto sicuri di essere nel giusto di stato, garantito da mamma Rai. Ieri il giusto erano i mutandoni delle ballerine, l'innocenza canora di Non-ho-l'età, e altre bellurie di vario genere; oggi è l'amore gay, con il matrimonio per traguardo, e la elezione delle donne a idolo della piazza mediatica, ma solo se vittime virtuali, solo in un simbolo dei buoni sentimenti e dell'edificazione progressista.
Ma il mondo è più complicato. Il poeta scrittore e artista maledetto Jean Genet scriveva che «violenza e vita sono pressappoco sinonimi», ciascuno di noi sa che l'amore non sopporta il controllo di legalità dei chierichetti della religione di massa del contemporaneo, quelli che stanno sempre a celebrare una strana e insincera messa cantata all'insegna del bene sociale, ma hanno scarsa dimestichezza con i concetti di bene e di male morale. L'amore potrà essere indotto a dire tutti i suoi nomi, anche quelli più risibili che le leggi matrimoniali di nuovo conio consentiranno ai coniugi omosessuali, ma sarà sempre bene attento a nascondere la sua realtà. Ma come si fa dopo le omelie banalizzanti di Fazio & Littizzetto, dopo la prevedibile distruzione di ogni ironia e di ogni civiltà che si annuncia nel testo di una legge Bersani contro l'omofobia, a continuare, non dico ad amare in libertà, non importa il sesso dei contraenti il patto d'amore, ma anche solo a leggere Madame Bovary o Anna Karenina? Come si fa a far traslucere il mondo di stupidità ipercorretta e poi pretendere di formarsi categorie adulte, intelligenti, per afferrarlo, per capirlo, per viverci?
Una donna non si tocca nemmeno con un fiore.
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