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Zingaretti, il giustizialista strabico che fa pulizia solo dove gli pare

Il governatore della Regione Lazio ha fatto della legalità e della trasparenza i suoi cavalli di battaglia, ma solo dove gli pare. Dalle nomine in contrasto con la legge alla presenza di indagati

Il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti
Il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti

Nicola Zingaretti è l’ottavo re di Roma. Almeno di quella democratica. Ex presidente della Provincia, già candidato al Campidoglio, dato come possibile traghettatore del Pd e, infine, governatore del Lazio. Nella Regione il suo nome circola (e governa) da anni. Un recente sondaggio lo ha messo in cima alla lista dei presidenti più graditi. Dai vertici del suo partito piovono elogi ed encomi, è considerato uno dei volti nuovi di viale del Nazareno, eppure è in politica dal 1991, anno in cui viene eletto segretario nazionale della Sinistra Giovanile.

Alla rottamazione anagrafica preferisce quella meritocratica, tema sul quale si è più volte scontrato con Matteo Renzi. Zingaretti si è sempre battuto per la legalità e per il rispetto delle regole e, una volta formata la sua giunta, ha continuato a invocare un cambiamento, una rivoluzione della classe politica che avesse come pilastri la trasparenza e l'incontaminazione da indagini e inchieste.

Una prova concreta si è avuta poco tempo dopo la formazione della sua giunta. Il 5 aprile scorso, l'assessore alle Politiche sociali, Paola Varvazzo, rassegna le sue dimissioni a seguito della notizia dell'iscrizione nel registro degli indagati di suo marito, funzionario dell'ufficio delle dogane. Dimissioni subito accettate, nonostante non vi fosse alcuna condanna né coinvolgimento, se non coniugale, dell'assessore. Zingaretti si mostra integerrimo come il commissario Montalbano interpretato dal fratello Luca. E loda la scelta della Varvazzo in nome della tutela dell'onorabilità della suo governo. Eppure, passa un mese, e un altro assessore, questa volta all'Agricoltura, Sonia Ricci, viene rinviata a giudizio per un rogo di rifiuti con esalazioni nocive avvenuto tre anni prima nell'azienda agricola Agroama di cui era direttore generale. Dimissioni presentate o richieste? Macché. In questo caso, Zingaretti fa spallucce e, anzi, come ha rilevato Agenzia radicale, difende la Ricci, dal momento che “non si tratta di nessun tipo di reato neanche lontanamente ipotizzabile contro la Pubblica Amministrazione, ma solo di una verifica di questo incidente”. Giustizialismo a targhe alterne? Chi lo sa.

Quel che è indubbio è che, nonostante il pugno di ferro contro il solo odore di un reato, il governatore non ha chiesto le dimissioni nemmeno del suo capo di gabinetto, Maurizio Venafro, rinviato a giudizio con l'accusa di concorso in bancarotta fraudolenta. Così come ha mantenuto personaggi come Raniero De Filippis, direttore di infrastrutture e politiche abitative, condannato dalla Corte dei Conti a risarcire la Regione accertando un danno erariale di 750mila euro e che nel 2002 ha patteggiato cinque mesi per abuso d'ufficio e falso ideologico. O ancora come Luca Fegatelli, nominato a dirigere l'Abecol, l'Agenzia per i beni confiscati alle organizzazioni criminali, nonostante sia indagato per associazione a delinquere e concorso in truffa ai danni dello Stato per la vicenda dei rifiuti.

Ma non finisce qui. Perché, come ha segnalato il sito de La Notizia, Zingaretti avrebbe violato anche le regole in materia di conflitti di interesse. Infatti, nel maggio scorso, ha fatto due nomine che violano il decreto legislativo in materia di incompatibilità di incarichi nelle P.A. Decreto che prevede che a coloro che nell'anno precedente sono stati componenti del consiglio o della giunta di una provincia della stessa regione non possano essere conferiti incarichi di amministratore di enti a livello regionale.

Si tratta di Antonio Rosati, ex assessore al bilancio alla Provincia di Roma, nominato commissario straordinario dell'Agenzia per lo sviluppo e innovazione dell'agricoltura nel Lazio (Arsdial) e di Andrea Ciampalini, nominato vice capo dell'Ufficio di gabinetto, ma dal 4 aprile già presidente della società di diritto privato in controllo pubblico denominata “Sviluppo Lazio”, che si occupa per conto della Regione dell’attuazione delle politiche economiche. Il tutto in contrasto con il decreto citato. Insomma, pare che sulla trasparenza e sulla legalità Zingaretti adotti il metodo dei due pesi e due misure. Cambiamento sì, ma di punti di vista.

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