Non credo che si possa capire il confronto fra Occidente e islam radicale se non si riconosce l'enorme salto culturale che si è verificato in Europa e in America dalla fine della guerra del Vietnam in poi. I cittadini degli Stati occidentali hanno perso ogni appetito per le guerre all'estero; hanno perso la speranza di poter riportare qualche vittoria non effimera e la fiducia nella bontà del loro modo di vivere e in effetti non sanno più bene che cosa questo modo di vivere esiga da loro.
Allo stesso tempo, i loro popoli si devono confrontare con un nuovo avversario, che crede che il modo di vivere occidentale sia profondamente imperfetto e rappresenti, forse, anche una offesa a Dio. Con una «sorta di distrazione», le società occidentali hanno permesso a questo avversario di installarsi al loro interno, a volte, come in Francia, in Gran Bretagna e nei Paesi Bassi, all'interno di ghetti che mantengono solo relazioni limitate e non poco antagonistiche con l'ordine politico circostante. E tanto in America quanto in Europa è nato un crescente desiderio di pacificazione, fatto di propensione al mea culpa pubblico, alla legittimazione, seppure a cuor pesante, degli editti di censura dei mullah e all'accresciuto ripudio ufficiale del nostro patrimonio culturale e religioso. Venti anni fa sarebbe stato inconcepibile che un arcivescovo di Canterbury tenesse una conferenza pubblica chiedendo l'incorporazione della legge della shari'ah nel sistema giuridico inglese: ma oggi molti ritengono che questo sia un punto di cui si possa discutere e forse il prossimo passo sulla via del compromesso pacifico.
Tutto ciò mi fa pronosticare che in Occidente attraverseremo un pericoloso periodo di pacifismo, in cui le legittime esigenze della nostra cultura e del nostro patrimonio ereditario saranno ignorate o minimizzate tentando di provare che abbiamo intenzioni pacifiche. Ci vorrà qualche tempo prima che la verità possa tornare a svolgere il suo importantissimo compito di correggere i nostri errori attuali e di aprire la strada al prossimo. Ciò significa che per noi oggi è più che mai necessario ricuperare il senso di che cos'è la verità e, insieme, una cognizione chiara e oggettiva di ciò che è in discussione.
Elencherò pertanto alcune caratteristiche-chiave del patrimonio culturale occidentale, che dovrebbero essere ben intese e quindi difese nell'attuale confronto. Ognuna di queste caratteristiche costituisce un punto di frizione, forse di conflitto, con la visione islamica tradizionale della società. E ognuna di esse ha giocato un ruolo-chiave nella formazione del mondo moderno. L'aggressività islamica nasce dall'impossibilità di trovare un posto stabile nel mondo della modernità e dal rifugiarsi in precetti e in valori che sono in contrasto con il modo di vivere occidentale. E questo non vuol dire che, per evitarla, si debba rinunciare alle caratteristiche distintive della nostra civiltà, né ripudiarle, come molti vorrebbero che facessimo: significa invece che dobbiamo stare in allerta per difenderle.
La prima delle caratteristiche che ho in mente è la cittadinanza. Esiste consenso fra i popoli occidentali sul fatto che la legge sia legittimata dal benestare di coloro che devono obbedirle. Questo consenso si crea attraverso un procedimento di natura politica che prevede che ognuno partecipi alla formazione e all'applicazione delle leggi. Il diritto e il dovere di partecipare costituiscono ciò che si chiama cittadinanza e la distinzione fra comunità politica e comunità religiosa può essere riassunta nell'idea che le comunità politiche sono composte da cittadini, mentre le comunità religiose sono fatte di sudditi, cioè di coloro che si sono sottomessi: e il significato principale della parola islam è proprio questo. Se si vuole trovare una definizione semplice di che cos'è l'Occidente così com'è oggi, è bene assumere come punto di partenza il concetto di cittadinanza, quella cosa di cui milioni di migranti che vagano per il mondo sono oggi in cerca: un ordine che conferisca loro sicurezza e libertà in cambio di consenso.
La società islamica tradizionale vede invece la legge come un sistema di prescrizioni e di raccomandazioni fissati da Dio. Questi decreti divini non possono essere modificati, sebbene la loro applicazione ai casi particolari possa essere oggetto di dibattito in sede giurisprudenziale. La legge, come l'islam la concepisce, è una domanda di obbedienza e chi la pone è Dio. In una certa misura questo rappresenta l'opposto della concezione della legge che abbiamo ereditato attraverso l'idea di cittadinanza. La legge da noi è la garanzia delle libertà: non proviene da Dio, ma dall'uomo, che segue l'istinto di giustizia intrinseco alla condizione umana: non è un sistema di comandi divini, ma il distillato di accordi di natura umana.
Questo è particolarmente evidente per i cittadini inglesi e americani, che godono dell'inestimabile beneficio della common law, un sistema non emanato da qualche potere sovrano, bensì, al contrario, costruito dai tribunali nel loro sforzo di fare giustizia nelle singole contese.
La nostra legge è un sistema «bottom up», che va dal basso verso l'alto, che usa lo stesso tono di voce davanti al sovrano come davanti al cittadino, vale a dire sottolinea che è ciò che è giusto, e non il potere, ad avere l'ultima parola.
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