«Ammettere i figli di clandestini all’asilo? Non capisco. Vuol dire che si autorizza chi non paga le tasse, chi non rispetta le leggi di questo Paese, a fruire dei servizi che tutti, compresi noi immigrati regolari, paghiamo come contribuenti. Stento a crederci». Proprio così, stenta a crederci Samir Sarbaoui, 43 anni, marocchino, direttore d’hotel a Milano, da oltre vent’anni in Italia. Poi aggiunge: «È il segno del malcostume di questo Paese. Che finisce per penalizzare chi le regole le rispetta davvero». Lui di figli ne ha tre, Nabil, 16 anni, Yasmin 14 e Omar, 10. Tutti hanno frequentato le scuole italiane, ma tutti lo hanno fatto da «regolari». «Regolari sì - spiega lui -, una condizione che io e mia moglie abbiamo voluto garantire alla nostra famiglia e ai nostri figli per poter avere un futuro in questo Paese».
«Da quando ho messo piede in Italia sapevo che se volevo accedere ai servizi, provare a condurre una vita normale, non vivere ai margini, dovevo seguire un percorso. In questo modo mi sembra di capire che avrei potuto anche infischiarmene di legalità e regolarità», aggiunge sbalordito. «Un Paese o ti accoglie - e quindi è in grado di offrirti un lavoro, garantirti una dignità - o non ti accoglie. E se non lo fa è perché non può o perché tu non vivi nella legalità. Qui non c’entra il razzismo. “Irregolare” significa fuori dalle regole. Come fai a godere dei benefici che ti offre un Paese se non rispetti le sue regole? Non c’è un’altra via», insiste stupito Samir.
Poi però Samir si spinge quasi in un’analisi sociologica del nostro Paese: «Questo è il classico controsenso all’italiana. Ma sono questi provvedimenti confusi che danneggiano soprattutto noi regolari. Perché siamo noi nel mirino, siamo noi che ogni giorno sul posto di lavoro, nei quartieri in cui abitiamo con le nostre famiglie ci esponiamo, mettendo la nostra faccia nelle cose che facciamo, mettendo anche le nostre storie a disposizione del giudizio degli altri. I clandestini vivono nell’ombra, in molti commettono reati e rendono a noi la vita impossibile».
Quando si parla di bambini, però, l’inflessibilità di Samir si incrina. «Certo, un bimbo è sempre un bimbo. E il pensiero che a causa delle colpe o delle mancanze di un genitore, un ragazzino debba rimanere ai margini, be’, questo mi dispiace. I bambini vanno salvati e aiutati».
E se le classi italiane - come ha denunciato allarmato anche qualche immigrato - si riempissero di ragazzini stranieri, cambierebbe la qualità della scuola italiana? «Quella dipende dagli insegnanti. Che i bimbi non parlino italiano o vengano da culture diverse può essere solo un arricchimento».
Ma la questione ora è un’altra e Samir non ha dubbi: se qualche amministrazione decidesse di ammettere all’asilo anche i figli degli irregolari, a quel punto dovrebbe prevedere una regolarizzazione. Altrimenti saremmo di fronte al solito caos all’italiana. Io, regolare da vent’anni, aspetto da quattro la cittadinanza. Un clandestino cosa farà? Avrà anche diritto alle case popolari?».
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