Ma io non ci credo

Io non ci credo. Mi invitano tutti alla prudenza, a leggere le carte. Non vorrei che il mio ultimo articolo «garantista» dopo i tempi eroici della lunga guerra, evidentemente non conclusa, contro la ferocia giustizialista, alla distanza risultasse avventato, come estrema conseguenza di un atteggiamento mentale anche in tempi mutati e di maggiore attenzione e prudenza da parte della magistratura inquirente. Potrebbe essere. Io fui solo a difendere in anni lontani e difficili Tabacci, innocente; Musotto, innocente; Darida, innocente; Franco Nobili, innocente; Mancini, innocente; Misasi, innocente; nomi della nomenklatura democristiana e socialista, oggi in gran parte dimenticati insieme a infiniti altri, Battaglia e Quattrone arrestati e prosciolti, Calogero Mannino arrestato e non condannato. Ricordo questi nomi alla memoria di quel «terrorista» giudiziario che fu Di Pietro, e che inaugurò la stagione del linciaggio nella quale furono inquisiti centinaia di parlamentari e di sindaci, anche del Pci (ricordo di essere andato a trovare in carcere il povero sindaco di Carbonia, poi risultato, ovviamente, innocente). Una furia si abbattè su di loro, amplificando reati minori o inconsapevoli, in delitti odiosi per una società desiderosa di vendette. Il Palazzo era stato minacciato, era stato denunciato da Pasolini, per primo: infine fu abbattuto. Ne restano ancora le rovine. I sopravvissuti si sono ricoverati in rifugi di fortuna.
Ma se devo pensare alla prima interpretazione aberrante del dipietrismo, fuori di Milano, mi viene in mente l’arresto dell’intera giunta regionale abruzzese, mi pare nel 1993. Benché incredibile l’atto giudiziario non sembrò, in quel momento, straordinario: era l’estensione di un metodo, di una caccia all’uomo iniziata con la minaccia o l’uso del carcere preventivo per far parlare, per rendere infami. Ne è precisa testimonianza la lettera ai familiari, struggente e dolorosa, di Gabriele Cagliari: una denuncia durissima dei metodi della magistratura milanese, cui seguì il suicidio di Cagliari.
La storia si ripete. L’arresto di Ottaviano Del Turco, uomo della cui onestà personale appare a me, e a molti, difficile dubitare, rientra nella patologia di molte regioni rispetto alla assistenza sanitaria. È ben noto che attraverso il sistema sanitario si determinano molte servitù elettorali, e vasti bacini di voti. L’assistenza presuppone un dare, e non sempre legittimo, sia alle cliniche private sia ai singoli assistiti che stabiliscono rapporti fiduciari con i medici. Nel mondo sanitario vi sono poi assunzioni garantite, e spesso, come abbiamo visto a Milano, premi pubblici a danno dei malati in rapporto all’impegno nelle operazioni chirurgiche. Abbiamo visto di tutto e possiamo anche immaginare che l’assistenza sia garantita in eccesso a danno dei finanziamenti pubblici.
Ma la corruzione è un’altra cosa. E l’incriminazione, nella consapevolezza di un crimine dei sette assessori presenti, oltre che del presidente, presuppone un’associazione a delinquere che è diversa dalle ragioni anche politiche e clientelari che possono avere determinato decisioni discutibili e perfino abusi d’ufficio. Fatico a immaginare Del Turco e i suoi assessori in una delibera di giunta spartirsi la torta di tangenti per vantaggio personale. Fatico a pensare che in quell’atto di finanziamento a una clinica fosse intervenuta una banda bassotti pronta a rapire tangenti per centinaia di migliaia di euro. Ho conosciuto Del Turco in Parlamento come presidente della commissione Antimafia in un ruolo difficile per reprimere il più compiuto sistema di estorsione, e anche di collusione fra criminalità e politica che, secondo l’accusa Del Turco avrebbe poi praticato in questa circostanza. L’ho conosciuto come ministro delle Finanze applicato alla repressione dell’evasione fiscale, altra manifestazione di rapina. L’ho visto anche sopravvissuto a Craxi dopo la sistematica e criminale demolizione del Partito socialista senza essere sfiorato da inchieste così facili verso quasi tutti i vertici del suo partito. E dopo queste esperienze difficilissime dovrei immaginarlo prendere tangenti come presidente della sua Regione? Vorrei vederlo criticato per la sua azione politica, non abbattuto da un’incursione giudiziaria di esito dubbio. Scoprirlo oggi corrotto e ladro non mi sembra possibile. Non ci credo. E aspetto di ritrovarlo fra qualche tempo assolto, e dunque vittima. La guerra continua. La pax giudiziaria nonostante l’ostinazione di Berlusconi non sembra raggiunta.

E sono certo che se Ottaviano risulterà innocente i magistrati che lo hanno arrestato non pagheranno per il loro errore. Di questa intollerabile anomalia i compagni di Del Turco, a sinistra, vorranno finalmente accorgersi, e trovare la forza di dissolverla?
Vittorio Sgarbi

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