«Io, padre divorziato, ho scoperto il Mondo Marcio di mio figlio»

L’avvocato Francesco Marcello, nel corso dell’udienza del processo di separazione dalla moglie, ha saputo che il suo primogenito è diventato un divo dell’hip hop

«Io, padre divorziato, ho scoperto il Mondo Marcio di mio figlio»

Stefano Zurlo

La rivelazione è arrivata il 24 gennaio scorso, al tribunale di Milano. Francesco Marcello, avvocato con studio a due passi dal palazzo di giustizia di Mani pulite e di Bancopoli, era in aula per la prima udienza del processo di divorzio dalla moglie Marina.
Quando il giudice ha chiesto notizie del loro unico figlio, la signora ha abbozzato : «Gian Marco ha messo su un complessino con i suoi amici. Ha fatto anche un dischetto. La scorsa estate ha guadagnato qualche soldino e si è pagato da solo la patente di guida». Il padre si è incuriosito, è tornato a casa, ha acceso il computer e ha cominciato a navigare su internet. Pochi minuti e quella discesa tumultuosa fra le notizie gli ha restituito un ragazzo che considerava perduto sulla strada e di cui non sapeva più nulla dall'estate del 2002: sì, Gian Marco Marcello è Mondo Marcio, un hiphopper di successo, un idolo per gli adolescenti di oggi, un autore di talento che ha appena pubblicato il suo terzo cd. E che dentro i testi porta la sua vita tormentata, la biografia poco raccomandabile, i giudici che - è storia di ieri - non lo avevano affidato né alla madre né al padre ma, addirittura, al Comune di Milano, agli assistenti sociali: «Una corte di quattro str... che non hanno ancora pagato i danni - protesta lui - che hanno causato alla mia mente».
Come un pacco postale
Francesco Marcello, un uomo alto, i capelli bianchi e gli occhiali tondi, ha letto e riletto in questi giorni quelle canzoni in cui affiora tutto il disagio, lo spaesamento, il groviglio di sensazioni di un ragazzo che si è sentito trattare come un pacco postale e che è divenuto «orfano» (questo il titolo di un suo pezzo) grazie a quei giudici che lo hanno affidato non al padre né alla madre, ma, appunto, agli assistenti sociali. E si è accorto che quei cd riflettono in qualche modo anche il suo dramma di genitore, colpito ora anche dagli strali del figlio che nelle canzoni rinfaccia pure a lui l'infanzia buttata fra giudici, psichiatri e liti in un clima di anoressia affettiva.
Così, al cronista che glielo chiede racconta quell'esperienza che il figlio ha trasformato in rime dai timbri aspri e cupi : «Tutto nasce da una furbata di Marina, che ha creduto di giocare col matrimonio e la famiglia. Fra noi - premette - ci sono oltre vent'anni di differenza e lei ha pensato bene di vivere con me, contrarre il matrimonio, far nascere un figlio, per poi separarsi e quindi farsi mantenere da me tutta la vita. La nostra unione apparentemente era un sogno, formavamo una coppia affiatata e invidiata da tutti fino al matrimonio. Il 1° dicembre 1986 nasce Gian Marco, che inizia a crescere in un clima familiare ottimale, ma, proprio quando le cose andavano tra noi a gonfie vele, Marina, come da copione, non ha più voluto proseguire la convivenza e ha iniziato a demolire il matrimonio e la famiglia con gravi provocazioni per giungere alla separazione». Lui resiste, non vuole separarsi, pensando proprio a Gian Marco. Crede si tratti di una crisi passeggera e accetta persino di coabitare da separato in casa, ma dopo qualche tempo lei se ne va definitivamente a vivere vicino ai suoi genitori a Melegnano e porta con sé Gian Marco, che all'epoca frequentava la centralissima scuola elementare di via Corridoni, vicina all'abitazione del padre. Il futuro rapper, però, cerca il papà: sente che il bene di lui è diverso da quello della mamma e accetta di sorbirsi tutte le mattine e tutte le sere un viaggio lungo e tortuoso pur di stargli vicino.
Genitori contro
La mamma capisce e asseconda il figlioletto. Il Tribunale glielo affida, com'è normale e come anche Marcello chiede, ma Gian Marco, contrariamente al disposto dei giudici, passa col padre oltre 200 giorni l'anno. Il papà modella la sua vita sulle esigenze del figlio e provvede alle sue necessità staccando mensilmente per la madre un assegno di 4 milioni, anche se Gian Marco lo accudisce sempre lui. L'avvocato Marcello da una vita discute cause, ma si accorge che nella causa che più gli sta a cuore è del tutto impotente di fronte a quel giudice-donna che, come un muro di gomma, ignora i suoi quattro ricorsi che egli le ha scritto per far cessare quell'intollerabile vita del figlio.
Promesse mancate
La madre promette di trasferirsi a Milano, ma poi non mantiene e il giudice la giustifica osservando che il marito si è rifiutato di adeguarle l'assegno. Allora Marcello chiede che il figlio sia affidato a lui, almeno nel periodo scolastico, per evitargli quell'assurdo strapazzo. Alla fine esce la sentenza del Tribunale : «Le manifestazioni protettive ed affettive della personalità del marito - scrivono i giudici nel negare l'addebito della separazione alla donna - che prima del matrimonio erano gradite alla moglie, dopo il matrimonio non le furono più gradite, sicché quella fece legittimo ricorso alla separazione». È una beffa che si somma al dolore di una rottura incomprensibile e mai metabolizzata. Marcello chiede spiegazioni al presidente del collegio che gli risponde con la più rassegnata delle domande : «E che potevo fare io, fra quelle due vipere scatenate?». Propone appello, ma è come cadere dalla padella nella brace. La Corte dà atto che la Ctu di primo grado, che aveva preferito l'affidamento materno, è fragile e poco convincente e incarica due nuovi psichiatri di analizzare Gian Marco e di indicare a quale dei genitori è più opportuno affidarlo. Di male in peggio: dalla saletta d'aspetto dello studio del Ctu l'avvocato Marcello capta parole agghiaccianti, che di tecnico non hanno proprio nulla, gridate, dietro la porta chiusa, dallo psichiatra: «Non affiderò mai Gian Marco all'avvocato Marcello per non dargli la soddisfazione di poterlo esibire come un trofeo di vittoria !». Ciò, sebbene Gian Marco gli avesse declamato il peana a lode del genitore : «Il papà è orgoglioso di me... gli interessa molto che sia un bravo ragazzo, che mi realizzi... mi insegna il latino, ritaglia gli articoli di giornali e ne discutiamo insieme, mi fa conoscere personaggi importanti. Con un padre così sono portato a migliorarmi. Sto bene con mio padre perché mi sento arricchito sotto tutti gli aspetti».
Odissea giudiziaria
La causa prosegue, in attesa che Marina si trasferisca a Milano e inizi finalmente a lavorare, come la Corte d'appello le impone, ma quando lo fa è oramai troppo tardi perché il futuro Mondo Marcio, diventato grandicello, si è fatto giustizia da solo : nel giugno 2000, presa la licenza media, si è installato a casa del papà e ha iniziato a frequentare il Berchet mostrando una vivace intelligenza.
«I giudici, o meglio, certi giudici - continua l'avvocato prima di concludere il racconto - specie quelli milanesi, che si occupano di separazioni e divorzi, seguono schemini mentali prefabbricati e i Ctu che essi nominano fanno parte di un gioco dal finale scontato. Se si presentano casi anomali che rompono quegli schemi, perdono il senso della loro alta funzione e schioccano come una frusta l'enorme potere che si ritrovano. Che Marina abbia mirato all'assegno di mantenimento, come ho sempre denunciato, era un fattore essenziale e decisivo della causa, che doveva essere attentamente vagliato, ma quei giudici non lo hanno neppure considerato perché esulava dal loro schema precostituito». Così è successo anche a Gian Marco - prosegue - che preme per poter dire la sua e scrive al presidente per essere ascoltato.
«Sto meglio con papà»
Finalmente gli danno retta e lui ribadisce che si trova meglio col papà «perché mi aiuta nello studio, per come mi fa mangiare e per i consigli che mi sa dare». Della madre racconta cose poco edificanti, ma il presidente gli chiede se deve proprio scriverle a verbale quelle cose. «Gian Marco - conclude l'avvocato - ha avuto il torto di contrastare il pregiudizio di quei giudici, secondo cui il minore deve essere sempre affidato alla madre e la loro ritorsione non si è fatta attendere: non vuoi stare con tua madre? e noi ti affidiamo al Comune. Meglio «orfano» che darla vinta a tuo padre». Per Gian Marco è una cannonata che fa a pezzi il piedistallo dell'autorevolezza su cui si ergeva la figura del padre. Il resto lo fa Marina, che così ha buon gioco per telefonargli tutti i giorni, quando il papà non c'è, e sgretolargli a poco a poco la cara e buona immagine paterna, insinuandogli dubbi persino sull'utilità del latino e del greco.
Addio speranze
Gian Marco perde così anche l'ultimo punto di riferimento. Nell'estate 2002 lascia il padre e il Berchet. Si fa inghiottire dalla strada, incontra la delinquenza e la droga, ma la strada per uno strano sortilegio lo restituisce integro solo pochi giorni fa. Il disagio e la rabbia, divenuti incontenibili, per fortuna hanno trovato sfogo nella musica. Anzi, ora è Marcello-Marcio a essere salito sul piedistallo. Quello del successo.

È sotto contratto con la Emi, altro che dischetto con gli amici! E da lì ricorda quando, bambino, appena ieri, vedeva i genitori dentro una scatola : «Perché - vedi - un po' di anni fa vedevo mamma e papà dentro a una scatola, dietro a due psichiatri, ero solo un bambino, un bambino... e dicono: capita! ma non spararti frà, sfogliami l'anima e vedrai che c'ero così vicino, così vicino».

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