Ipazia, la scienziata nemica dei fanatici

Esce il 23 aprile il film che racconta la storia della studiosa torturata da un gruppo di cristiani nel quinto secolo Presentato a Cannes, si è temuto il no dei distributori italiani. Il regista: "Una pellicola contro i fondamentalismi"

Ipazia, la scienziata nemica dei fanatici

Il mio Agorà (piazza, assemblea, ndr) è «contro ogni fondamentalismo», mi diceva Alejandro Amenàbar del suo film da cinquanta milioni di euro, presentato fuori concorso al Festival di Cannes del 2009. Al centro della vicenda, fedele all’ultimo scorcio dell’antichità classica, Ipazia (Rachel Weisz), filosofa e scienziata, martire del politeismo ad Alessandria, capitale culturale del Mediterraneo nel IV-V secolo della nostra era. Allora l’Impero romano d’Oriente era un continuo attrito tra il politeismo greco-romani e i monoteismi sorti dal deserto, l’uno frutto di un’eresia dell’altro: giudaismo e cristianesimo.

«La vergine Ipazia - proseguiva Amenàbar - era uno spirito aperto, praticava la misericordia e fu torturata e uccisa dai cristiani alla vigilia del tracollo del mondo classico. La sua vicenda ricorda - in senso opposto - quella di Gesù».
Attorno a Ipazia, nel film, ex allievi come l’aristocratico (Oscar Isaac), convertito al cristianesimo, onde avere la carriera pubblica che si aspettava; e lo schiavo (Max Minghella, figlio dello scomparso regista Anthony), fanatico nella nuova fede.
In Agorà - che uscirà venerdì 23 - buoni e cattivi sono distribuiti per fazione, una semplificazione a uso dello spettatore ignaro di antichità. È un uso hollywoodiano che rasenta la falsificazione: in ogni tempo e luogo buoni e cattivi si mescolano. Negli scontri, specie in quelli politico-religiosi, ognuno ha le sue ragioni: a chi vince, toccherà il fardello della politica; a chi perde, resterà - talora - l’onore degli storici. O di Amenàbar, già regista di The Others, il film che vide la giuria veneziana, presieduta da Nanni Moretti, negare la coppa Volpi a Nicole Kidman (la ebbe Sandra Ceccarelli, poi dimenticata); e Il mare dentro, che invece - sempre alla Mostra di Venezia - ebbe il Gran premio della giuria e la coppa Volpi (per Javier Bardem).
Film insolito Agorà. Sul grande schermo come sul piccolo, il politeismo classico è soverchiato: si mostra quasi sempre la decadenza di Roma, quasi mai l’ascesa. E la Grecia è ricondotta o alla guerra di Troia (Troy) o alle guerre contro i Persiani (300). E se ora Hollywood riscopre gli antichi Dei (il recente Percy Jackson, l’imminente Scontro di titani...), è per fare della goffa pre-fantasy.

Quanto al cinema italiano, faceva di eroi greci o troiani (Enea), ma anche di rudi centurioni e di discinte ancelle, trepidi pre-cristiani oppure opinabilissime proto-cristiane. Eccezione: De reditu (Il ritorno) di Claudio Bondi (2003), con Roberto Herlitzka, tratto dalle pagine di Rutilio Namaziano (Einaudi), un contemporaneo di Ipazia.
Non solo. Il cinema vuole incassare, non ristabilire la verità storica. Salvo chi scrive, nessuno giudicò discutibile - è un eufemismo - fare della reale morte di migliaia di persone il dolente coro di un Giulietta e Romeo sull’oceano, perché è in tal modo che Titanic di James Cameron batté ogni incasso. E ogni vergogna.
Tutto ciò ha fatto pensare a molti, per mesi, che Agorà fosse stato scansato dai distributori per non urtare il clericalismo residuo in un’Italia secolarizzata. Una petizione su internet ha denunciato la supposta censura.

Ma i diritti su un film da cinquanta milioni di euro sono alti; col tempo, quando il prezzo internazionale di Agorà è crollato, è crollata anche la censura, almeno quella del mercato. E ora anche gli italiani potranno onorare Ipazia, magari non vergine, ma certo martire.

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