Irak, Bush non cede sul ritiro Altri senatori pronti a lasciarlo

Pressioni sul numero uno democratico della Camera Nancy Pelosi perché chieda l’impeachment per il presidente e il vice Cheney

da Washington

La risposta era attesa. È venuta con qualche ritardo ma è stata recisa: Bush non ha alcuna intenzione di anticipare il ritiro delle truppe americane dall’Irak e neppure da Bagdad e da altre zone particolarmente «calde». Le voci in proposito sono «lontane dalla realtà. In questo momento non c’è alcun dibattito in proposito». È confermato, tuttavia, che il ministro della Difesa Robert Gates ha cancellato all’ultimo momento un viaggio nell’America Latina e che il consigliere della Sicurezza nazionale Stephen Hadley ha dovuto interrompere le vacanze perché richiamato d’urgenza a Washington. Una emergenza c’è, resa evidente dalla disgregazione della maggioranza delle posizioni di Bush in Congresso, dalle pressioni in seno al partito repubblicano e anche da parte di alcuni consiglieri di Bush e ora anche dal monito che arriva da Bagdad.
Il ministro degli Esteri iracheno Zebari ha affermato in una conferenza stampa che «l’Amministrazione Usa sta crollando sotto le pressioni dei democratici e di alcuni repubblicani e spinge il nostro governo a importanti mutamenti. Ma gli americani debbono convincersi che le truppe irachene non sono pronte a subentrare a quelle Usa nel controllo del Paese. Ho cercato di spiegarlo ai membri del Congresso che sono venuti qui». Un appello quasi disperato, sottolineato da altre due misure di emergenza: il primo ministro Al Maliki ha «riabilitato» la fazione estremista sciita ispirata da Al-Sadr, responsabile un paio di anni fa di una sanguinosa insurrezione e ora definita «parte integrante e pilastro della vita costituzionale del Paese» e diversi esponenti sciiti e sunniti hanno rivolto un appello ai civili iracheni invitandoli a «imbracciare le armi e difendersi» dopo il più sanguinoso weekend di violenza che è costato quasi 250 vite.
Invocazione estrema, riecheggiata nelle stesse ore da Colin Powell, ex segretario di Stato di Bush: «In Irak c’è la guerra civile e l’esito sarà deciso con le armi. Non vedo come si possa impedirlo. Le Forze armate americane non possono risolverlo, ma al massimo mettere un coperchio su questo pentolone ribollente di odi settari». Powell ha inoltre rivelato di essere sempre stato contrario all’intervento in Irak: «Ho cercato di impedire questa guerra, di far riflettere Bush sulle conseguenze che avrebbe avuto il fatto di andare da occupanti in un Paese arabo». L’ex segretario di Stato non era mai stato così acerbamente critico e anche la sua «uscita» fa parte della tendenza di molti repubblicani. Dopo le defezioni dei senatori influenti come Hagel, Lugar, Voinovich, Smith e Domenici, la Casa Bianca teme ora che altri le voltino le spalle, incluso il senatore Warner, ex presidente della Commissione per le Forze armate.
La missione di Hadley e dello «stratega» di Bush Karl Rove è quella di bloccare o almeno rallentare il ritmo delle defezioni. Hadley si è incontrato nelle ultime ore con quasi tutti i senatori dissidenti, ma altri se ne annunciano: Susan Collins del Maine ha parlato di erosione dovuta alle «tremende perdite fra le truppe americane». Più di 330 soldati Usa sono morti in Irak nell’ultimo trimestre, che è stato il più sanguinoso dall’inizio della guerra. La madre di un caduto, trasformata da tempo in attivista pacifista, Cindy Sheehan, mette ora sotto pressione il presidente democratico della Camera Nancy Pelosi: si candiderà contro di lei nel collegio di San Francisco se la Pelosi non si deciderà a presentare una mozione di impeachment contro Bush e il vicepresidente Dick Cheney.
È un caso estremo, ma rientra nel quadro di una sbandata generale e della conseguente accelerazione dei tempi. Secondo i piani della Casa Bianca un riesame della strategia, in base ai risultati dei rinforzi spediti in Irak nella «Operazione Surge», era atteso per il 15 settembre quando il generale David Petraeus dovrebbe presentare il suo rapporto al Congresso, ma un numero crescente di senatori repubblicani non sembra disposto ad aspettare.

Un primo dibattito avverrà dunque già il 15 luglio e si attende inoltre con particolare ansia il ritorno da Bagdad dell’influente senatore John McCain, che è stato finora un inflessibile avversario di ogni proposta di ritiro dall’Irak.

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