Irak, il capo degli insorti rompe con Al Qaida

L’ultimo grande gerarca di Saddam ancora latitante, Izzat Ibrahim al Douri, che controlla una fetta degli insorti iracheni, avrebbe deciso di schierarsi contro Al Qaida e aprire trattative con il governo di Bagdad. La notizia apparsa sul giornale arabo Al Hayat viene resa nota il giorno in cui il presidente americano George W. Bush sostiene che il ritiro dall’Irak sarebbe un errore come quello dal Vietnam.

Abu Wisam al-Jashaami, uno dei dirigenti del partito Baath in clandestinità guidato da Al Douri, al potere per 30 anni durante il regime di Saddam, ha rilasciato un’importante dichiarazione alla stampa araba. «Al Douri ha deciso di porre fine al legame con Al Qaida e di aderire al programma di resistenza nazionale», che prevede la caccia ai terroristi islamici e l’apertura del dialogo con il governo di Bagdad.

In realtà Al Douri starebbe cercando di trattare il cambio di fronte direttamente con gli americani. Una prima conferma è la collaborazione fornita le scorse settimane dagli uomini del Baath, messo fuorilegge, nella cacciata di Al Qaida dalla provincia di Dyala e di alcuni quartieri sunniti della capitale.

Al Douri, 64 anni, dato più volte per morto, è il re di fiori del famoso mazzo di carte dei 55 ricercati dagli americani. Dopo il crollo del regime strinse un patto diabolico con Abu Musa Al Zarqawi, il defunto capo di Al Qaida in Irak, con l’obiettivo di dare filo da torcere agli americani. «In nome della guerra santa utilizzeremo tutte le risorse finanziarie e le armi per difendere la religione, il Paese e l’onore», avrebbero giurato l’ex numero due di Saddam. Probabilmente sono i rampolli dell’ex generale - Ahmad, Al Muqdad e Ibrahim - a guidare gli insorti del Baath sul terreno. «Gli occhi e le orecchie di Saddam», come lo chiamavano quando aveva il potere assoluto, ha da tempo problemi di salute.

L’abbandono del patto con Al Qaida, se verrà confermato, è una svolta importante. Una svolta che riflette il cambiamento di fronte di molti sceicchi del triangolo sunnita e in particolare della provincia occidentale di Al Anbar, grande come metà dell’Italia, dove i terroristi stranieri di Al Qaida la facevano da padroni. Majid Abdel Razzaq al Alì Suleiman, capo della più importante tribù di Ramadi, ha spiegato che gli sceicchi hanno dichiarato guerra ad Al Qaida «dopo aver visto le autobomba che colpivano i civili, gli studenti, gli ulema, gli ospedali. Questa non è resistenza».

Adesso tra le forze di sicurezza delle zone sunnite gli americani hanno reclutato i membri delle tribù locali. Nella provincia di Al Anbar gli attacchi contro i marines erano 1.300 nel mese d’ottobre dello scorso anno. A giugno sono scesi a 250. Gli sceicchi hanno fondato l’«Anbar salvation council», guidato da Abdul Sultan al Rishawi. I jihadisti lo hanno bollato in un video come «il cane di Anbar». Anche a Falluja, Baquba, Tikrit, i capisaldi del terrore, gli stessi insorti delle fazioni più nazionaliste e moderate, come le Brigate della rivoluzione del 1920, aiutano gli americani a dare la caccia ai terroristi di Al Qaida. Il salutare voltafaccia di Al Douri va in questa direzione.

Ieri il presidente americano, parlando davanti ai veterani di guerra a Kansas City, ha fatto capire che il ritiro dall’Irak potrebbe portare alle sofferenze scatenate da quello dal Vietnam. «Il prezzo» del ritiro americano dal Vietnam «fu pagato da milioni di innocenti cittadini, la cui tragedia ha aggiunto al nostro vocabolario termini come boat people, campi di rieducazione, killing fields», ha dichiarato Bush. «Molti dissero che ritirandoci non ci sarebbero state conseguenze per il popolo vietnamita. L’opinione pubblica mondiale - ha detto il presidente - avrebbe capito in seguito quanto cara sarebbe stata pagata quella valutazione sbagliata. In Cambogia i khmer rossi instaurarono un regime sanguinario che portò alla morte di centinaia di migliaia di cambogiani, uccisi da fame, torture ed esecuzioni».

In Vietnam, ha proseguito Bush, «funzionari del governo,

intellettuali e uomini d’affari, ex alleati degli Stati Uniti, furono spediti nei campi di prigionia, dove decine di migliaia di loro morirono, mentre altre centinaia di migliaia abbandonarono il Paese su imbarcazioni di fortuna».

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