Irak, la polizia spara a vista... sui cani randagi

Dopo la guerra al terrorismo è la volta di quella ai cani. La linea del fronte è sempre lì, nel cuore di Bagdad, l’affollata e ferina capitale irachena dove 7 milioni di residenti sopravvissuti a dittature, guerre e terroristi, si ritrovano ora costretti a convivere con un milione e 250mila cani. E non è una grande compagnia. Anzi è un’altra sciagura perché non di simpatici e amabili amici dell’uomo si tratta, ma di famelici e assatanati randagi capaci di entrare nelle case, aggredire i passanti e sbranare i bambini. Su quelle malefatte canine nessuno è in grado di fornire dati precisi, ma nella capitale non c’è abitante che non ricordi - accanto a quelle del terrorismo - le tragedie di uno o più ragazzini fatti a pezzi negli ultimi anni da mute inferocite.
A voler vedere il bicchiere mezzo pieno, sentenziano i più inguaribili ottimisti, quel milione e passa di feroci quadrupedi e le loro vittime sono anche il segno di un parziale miglioramento. Dove imperversano mute di randagi ci sono rifiuti e dove c’è mondezza prosperano mercati, bottegai e ristoranti. Il che per una città dove anche far la spesa o andare al ristorante significava correre rischi inaccettabili è il segnale di un lento, ma progressivo ritorno alla normalità. Se normalità significa, però, rischiar di trovarsi assediati da una torma di cani inferociti all’uscita di casa, anche la nuova vita rischia di non essere una gran vita. E così ecco l’inevitabile, ineludibile necessità di una nuova guerra, di una soluzione finale destinata a cancellare anche le nuove, bestiali paure.
Le autorità l’avevano decretata già da molti mesi, ma i 25mila maledetti euro destinati a compier l’impresa sono arrivati nelle casse del municipio solo ad aprile. Da quel giorno la nuova guerra non si è, però, mai fermata. Da allora le 20 squadre speciali a cui è stato assegnato il compito di sconfiggere l’esercito dei cani sono sempre in linea. E a dar retta ai primi bilanci lo scontro è più sanguinoso di quello con Al Qaida. «Stiamo portando a termine è una delle più grandi esecuzione di massa di randagi dai tempi di Saddam Hussein, solo negli ultimi due mesi abbiamo ucciso 58mila cani, a questo punto la vittoria mi sembra vicina», sentenzia soddisfatto Mohammed al-Hilly, il capo veterinario della capitale.
Certo l’entusiasmo per quelle esecuzioni di massa mescolato alla nostalgia per i tempi del raìs quando, ricorda il veterinario, «la caccia ai randagi scattava ogni notte» può suscitare il sospetto di un inguaribile nostalgia. Guardiamola, però, dal punto di vista del «terminator» Al Hilly. Per il capo veterinario della capitale quel milione e passa di bestie in libertà evoca lo spettro di un’incontrollabile epidemia di rabbia. E dunque «pietà l’è morta».
Le venti squadre speciali composta ognuna da una coppia di tiratori scelti della polizia e da un veterinario con le saccocce piene di bocconi avvelenati battono i quartieri più infestati dalle prime ore dell’alba. Il loro non è proprio un gioco da ragazzi. Il rischio maggiore è quello di venir scambiati per una squadra di terroristi in avanscoperta e venir fatti secchi dai reparti dell’esercito alla ricerca degli ultimi militanti di Al Qaida. «Per non far la fine dei cani - spiega Mohammad Al Hilly - è necessario coordinarsi in anticipo con l’esercito e una volta sul posto far di tutto per non venir confusi».
Come nella guerra vera non manca neppure il rischio di danni collaterali. Soprattutto quando la semina di attraenti bocconi di carne avvelenata avviene nel cuore dei rioni più poveri e degradati.

Allora per evitare di raccogliere cittadini agonizzanti anziché cadaveri di randagi, spiega Mohammed Al Hilly «è consigliabile metter sull’avviso con un certo preavviso non solo l’esercito, ma anche la popolazione civile».

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