Irak, dopo il voto una sola certezza: ha perso Al Qaida

BagdadQuando le guerre finiscono i film trionfano. Successe con il Vietnam. Succede, qui a Bagdad, mentre a Hollywood, Kathryn Bigelow conquista l’Oscar con una storia ispirata al dramma iracheno. Se il Vietnam fu una sconfitta digerita nei decenni l’Irak è - dopo le elezioni di domenica - più vicino a rivelarsi un sofferto successo. Un successo contro il nemico più insidioso, contro quell’Al Qaida che - dopo la sconfitta afghana del 2001 - aveva rialzato il capo proprio in Irak. Era il giugno 2004 e la testa mozzata di Nick Berg alzata da Zarqawi ci fece capire che la guerra era appena iniziata.
Quel giorno chi scrive era qui e ricorda bene i brividi di terrore di noi occidentali. A far più paura s’aggiungeva l’indifferenza degli iracheni. Poche settimane prima le foto di Abu Ghraib, il carcere dell’umiliazione irachena, avevano creato una solco tra due mondi, fatto germogliare i fiori dell’odio. Gli iracheni pronti a voltarci le spalle ignoravano che le nostre paure sarebbero diventate il loro terrore. In pochi mesi Zarqawi, il decapitatore d’infedeli si trasformò nel profeta dell’odio interconfessionale capace di trasformare il Paese in un inferno di sangue. Davanti al massacro di amici e familiari gli iracheni esibivano la stessa nostra espressione allibita, ma a differenza di noi non avevano né biglietti di ritorno, né vie d’uscita.
Il primo a comprendere la voglia di redenzione di quel popolo ingabbiato dall’orrore fu il generale David Petraeus. Lesse la voglia di fuga negli occhi dei capitribù, mise a disposizione le armi e gli appoggi finanziari indispensabili per spezzare la spirale dell’odio, capì che per liberarli dall’abbraccio mortale con Al Qaida doveva conquistarne il cuore e la mente. «Quel generale fu il primo comandante americano in grado di comprendere il nostro stato d’animo, il primo ad offrirci qualcosa di concreto», spiegava il professore sunnita Malik Al Obeidi incontrato domenica a un seggio. In due anni quel generale capace di leggere il cuore degli iracheni ribaltò il conflitto, uccise Zarqawi, chiuse Al Qaida in un angolo, la trasformò in un’organizzazione residuale, isolata dalle grandi tribù e dai loro capi.
Il surge, la rimonta di Petraeus, era però solo la prima tappa. Sconfitta Al Qaida sul terreno bisognava prosciugare l’acqua da cui sarebbero potuti riemergere i nuovi emuli di Zarqawi. A quest’ultimo sforzo dovevano però partecipare in prima persona gli iracheni cancellando l’odio confessionale, archiviando la contrapposizione tra etnie e religioni capace di distruggere il Paese. Non è stato né facile, né veloce. Nonostante il ridimensionamento di Al Qaida il Paese doveva e deve fare i conti con i cattivi maestri del fanatismo sciita, con le interferenze di un regime iraniano poco disposto a confrontarsi con un Irak pronto a ridiventare potenza regionale e a contendergli i grandi mercati del petrolio. Gli attentati da bassa macelleria messi a segno in questi mesi da Al Qaida e i giochi iraniani non sono però riusciti a cancellare la voglia di normalità degli iracheni. Lo leggi nei loro sguardi finalmente rilassati dopo sei anni, lo capisci dalla ritrovata piacevolezza con cui spiegano la necessità di tornare alla convivenza, lo leggi nelle cifre di un’affluenza arrivata al 62 per cento.
Per avere i primi dati certi su queste elezioni, per sapere se l’Irak sarà guidato di nuovo dal premier uscente Nouri Al Maliki o dal suo rivale Iyad Allawi dovremo aspettare un paio di giorni, ma una certezza già c’è. I sunniti sono tornati a votare in massa, ignorando le minacce e le bombe di Al Qaida e riversando il proprio voto sulla formazione laica guidata dallo sciita Allawi.

Gli sciiti del sud sembrano aver snobbato le suggestioni confessionali offerte dalla coalizione formata, grazie alle manovre iraniane, dall’agitatore Moqtada Sadr e da quel Supremo consiglio islamico iracheno ospitato per molti anni a Teheran.
Gli anticorpi sviluppati negli anni dell’orrore stanno dunque facendo il loro lavoro. E Al Qaida s’è definitivamente trasformata in un mostro del passato capace di mordere, ma non di riprodursi e svilupparsi.

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