Irons premier eroico e cinico della vecchia politica inglese

In scena «Never so good», storia di un grande vittoriano

da Londra

Un anno dopo il successo da protagonista de Le braci di Sandor Marai, Jeremy Irons torna a teatro in una affascinante interpretazione del primo ministro Harold Macmillan nella pièce di Howard Brenton Never so good, incisiva panoramica della politica britannica nella prima parte del XX secolo fino alla crisi di Suez e allo scandalo di John Profumo che nei primi anni sessanta doveva destabilizzare la fiducia del Paese. Il conservatore liberale, il dandy che tollerò senza battere ciglio il lungo adulterio della moglie, il politico che nel suo governo si circondava dei vecchi compagni di collegio (Eton, naturalmente) per poi non esitare a farli fuori quando era pragmatico farlo, era una figura intrigante e una tentazione irresistibile per l’attore che sa coglierne l’idealismo dietro il cinismo apparente, la malinconia e la disperazione sotto lo smalto della sicurezza esteriore. Riservato, impermeabile all’onda del successo, è nel teatro che Jeremy Irons ritrova la sua passione prima di attore.
Figlio dell’epoca vittoriana, nato nel 1894 e vissuto fino a 92 anni, Harold Macmillan, detto Supermac, era un uomo abile e astuto, un politico provocatore e duro senza essere aggressivo, dai nervi d’acciaio nelle crisi, eroico tanto in guerra quando cinque volte ferito nella battaglia della Somme si faceva forza in trincea leggendo Eschilo, quanto nel suo ribelle sostegno di Churchill contro la politica di Chamberlain alla vigilia della seconda guerra mondiale. Più cinico invece, Giuda e Bruto insieme, durante la crisi di Suez, quando non osteggiò l’ossessione di Anthony Eden per il possesso del canale. Ma era anche un uomo torturato dal senso di colpa per essere sopravvissuto alla carneficina della guerra e tormentato dai complessi di inferiorità esasperati dalla moglie, Lady Dorothy, figlia del duca di Devonshire. Tutte queste sfumature, nel pubblico e nel privato, Irons trasmette senza sforzo, con naturale eleganza e fermezza.
In scena al National Theatre, sala del Lyttleton, per la regia espressionista di Howard Davies, Never so good («Mai così bene», da un discorso di Macmillan del 1957) è insieme una brillante lezione di storia e un ritratto sensibile dell’uomo e del politico. Commediografo attento sia alla politica di partito sia al rigore intellettuale e alla moralità privata, già autore di vivisezioni storiche da San Paolo, Abelardo ed Eloisa, a Blair e Gorbacev, senza dimenticare la celebre satira Pravda sull’asse Thatcher-Murdoch negli anni ottanta, Howard Brenton racconta qui gli eventi attraverso il prisma della memoria del grande vecchio, articolando il tutto in episodi graficamente illustrati da un scenografia minimalista mentre luci e ombre e silhouettes suggeriscono le esplosioni della guerra e tratteggiano la psicologia dei giocatori al potere. Sempre in scena come un costante rimprovero il doppio giovanile di Macmillan, il soldato sopravvissuto alla battaglia della Somme.
I sei anni del governo Macmillan, 1957-1963, sono visti da Howard Brenton come il momento di rovesciamento dello status quo nella vita britannica. Salito al potere lo sfacelo di Suez, Macmillan aprì un periodo di prosperità economica che vide il paese riassumere una posizione di potenza sulla scacchiera internazionale, ma anche, con l’indipendenza alle colonie, la fine dell’impero.

Ritratto di un’epoca e di un uomo, la pièce è anche un dibattito aperto sulla ricerca di un ruolo mondiale da parte della Gran Bretagna, le sue ambizioni oggi, con gli interventi in Iraq e Afghanistan, sottintende Brenton, non dissimili dalle ambizioni di mezzo secolo fa.

NEVER SO GOOD di Howard Brenton, in scena al National Theatre (Lyttleton), fino al 24 maggio.

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