«Nella sua ricerca di un'architettura significativa, ha creato edifici di grande qualità che ancora oggi sfidano le categorizzazioni». Nel 2019 Arata Isozaki, archistar giapponese, morto ieri a 91 anni, veniva insignito del Pritzker, il prestigioso riconoscimento che vale nell'ambito dell'architettura quanto un Nobel. Nelle motivazioni della giuria ricorreva un giudizio che accomuna in qualche modo i suoi estimatori e detrattori, diffusi soprattutto alle nostre latitudini. Isozaki era un architetto sorprendente, un utopista che aveva partecipato con grande energia alla modernizzazione del Giappone dopo la Seconda guerra mondiale, un grande protagonista della ricostruzione postbellica. In quella fase il suo lavoro teorico era stato preziosissimo per il suo Paese, per la capacità di aprirsi al confronto e allo scambio con la cultura occidentale, nel segno di un pensiero architettonico eclettico, che compendiava la sperimentazione radicale e l'inserzione di citazioni. Nella memoria degli italiani, il suo nome è legato soprattutto al concorso per l'uscita monumentale degli Uffizi. Era il 1998, e il suo progetto, firmato assieme ad Andrea Maffei, venne preferito a quelli di Norman Foster, Hans Hollein, Vittorio Gregotti, Mario Botta e Gae Aulenti. Un esito controverso, perché la costruzione, in acciaio, vetro e pietra serena, che intendeva parafrasare la Loggia dei Lanzi di Piazza della Signoria, riorganizzando gli spazi di Piazza del Grano, venne contestata da subito, in parte per i pochi ancoraggi al terreno e per ragioni di conservazione del patrimonio storico (durante i lavori vennero presto alla luce resti archeologici). Ancora nelle scorse settimane Vittorio Sgarbi, sottosegretario ai Beni e alle Attività Culturali, è tornato a ripetere che il progetto non verrà completato dal nuovo governo. La vicenda, ormai ventennale (i lavori dovevano essere completati nel 2003), ha finito per diventare il terreno di una discussione relativa alla convivenza tra il linguaggio dell'architettura contemporanea e la lunga stratificazione monumentale delle nostre città d'arte. Discussione che trascende il senso del progetto di Isozaki e suoi eventuali limiti.
Ma l'architetto giapponese ha continuato a lavorare nel nostro Paese, realizzando progetti che hanno contribuito a ridisegnare il profilo di alcune aree urbane al centro di importanti progetti di riqualificazione. Vanno ricordati in tal senso i suoi interventi nel sito della vecchia Pirelli (2001) e della Fiera Campionaria di Milano (2004). Isozaki ha contribuito in maniera determinante a ridefinire lo skyline meneghino, con il progetto della Torre Allianz, il grattacielo di Citylife che dialoga con le costruzioni di Zaha Hadid e Daniel Libeskind. Per le Olimpiadi Invernali di Torino ha realizzato il Palahockey (2002-2006), che ha finito per incarnare esteticamente il nuovo volto del capoluogo piemontese, e la sua transizione da «motor city» a città in grado di attrarre anche il turismo culturale, diventando una «fabbrica di avvenimenti», secondo la definizione dello stesso Isozaki, il quale negli anni successivi si è aggiudicato anche i concorsi per la realizzazione della nuova stazione centrale di Bologna (2008), la sede della Provincia di Bergamo (2009 ), della Biblioteca comunale di Maranello (2011).
Leone d'oro alla Mostra internazionale di architettura di Venezia del 1996, Isozaki era nato a Oita, sull'isola di Kyushu, nel 1931. Il bombardamento atomico del 1945 sulla vicina Hiroshima aveva segnato la sua adolescenza. «Sono cresciuto sul ground zero. Era in completa rovina, non c'era architettura, non c'erano edifici e nemmeno una città. Mi circondavano solo baracche e rifugi. La mia prima esperienza di architettura è stata il vuoto, e ho iniziato a pensare a come le persone avrebbero potuto ricostruire le loro case e le loro città». Si era laureato a Tokyo nel 1954, e aveva cominciato a progettare edifici solo dopo aver viaggiato a lungo, visitando la Cina rurale, le città del mondo islamico, le metropoli americane e del Sud-Est asiatico. Nel 1954 aveva realizzato la Medical Hall e la Biblioteca della Prefettura della sua città natale. Quei primi lavori sono segnati dalla lezione del Brutalismo europeo, che all'epoca contrastava vivacemente con la tendenza del movimento nipponico Metabolism, ispirata a un'idea di architettura organica, in profondo colloquio con la natura. Isozaki per molti versi era invece più vicino alla ricerca del gruppo inglese Archigram.
La sua visione della città è sempre stata segnata dal tentativo di mettere a confronto elementi verticali e volumi elementari, a cui legare le aree in cui è destinato a crescere il nuovo abitato, e il paesaggio preesistente, con la sua storia significativa, che leggeva attraverso la lezione dei primi maestri dell'architettura europea, da Le Corbusier a Loos. Il conflitto con la visione che gli italiani mantengono delle loro città è probabilmente legato a questa sua spinta a essere assolutamente moderno, figlio del XX secolo e delle sue contraddizioni estetiche.
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