Gian Micalessin
Tutto da rifare, tutto da rincominciare. La sottile trama dei rapporti israelo-palestinesi si è disfatta come una tela di Penelope. Il buio è calato di nuovo dopo l’uccisione domenica sera di due cugine israeliane poco più che ventenni e di un ragazzo quattordicenne imbottiti di piombo da un commando palestinese mentre facevano autostop sulla strada per Carmel, la colonia in cui abitavano, nella zona palestinese di Hebron, in Cisgiordania. In risposta a quel triplice assassinio Israele ha deciso di sospendere tutti gli incontri preliminari organizzati in vista del summit tra il premier Ariel Sharon e il presidente dell’Anp, Abu Mazen.
E sulle strade della Cisgiordania sono tornati i posti di blocco dell’esercito, in alcune zone è stata proibita la circolazione delle auto private palestinesi. Tutto insomma come nei momenti più neri di questi cinque anni di violenze.
Mentre in Cisgiordania tornano in scena agguati e posti di blocco, a Gaza l’infiltrazione di Al Qaida si fa sempre più concreta e circostanziata. Il capo dell’intelligence militare, il generale Aharon Zeevi-Farkash, primo esponente israeliano ad ammettere già a settembre la penetrazione nella Striscia, ha confermato i suoi sospetti in un’intervista al quotidiano Maariv. «Sappiamo di almeno dieci militanti legati alla Jihad globale (così gli israeliani definiscono i militanti del terrorismo islamico internazionale) penetrati durante i noti episodi sulla linea di Philadelphia», ha detto il generale ricordando lo sfondamento delle barriere di separazione al confine con l’Egitto dopo il ritiro israeliano. «Ormai –ha concluso Zeevi - esiste il potenziale per lo sviluppo di un’infrastruttura di Al Qaida all’interno di Gaza».
L’agguato che domenica sera ha ucciso i tre giovani coloni, il primo dopo il ritiro da Gaza, rappresenta un duro colpo per la credibilità di Abu Mazen impegnato in un giro di consultazioni internazionali che l’ha visto, tra domenica e ieri, al Cairo e a Parigi. Ma l’attacco rischia soprattutto di compromettere l’incontro di giovedì alla Casa Bianca durante il quale il presidente palestinese e quello statunitense George W. Bush dovranno discutere le premesse per rilancio dei negoziati della Road Map. Poco prima d’incontrare il suo omologo Jacques Chirac, nella sua prima visita a Parigi dopo l’elezione a presidente, Abu Mazen si è detto «dispiaciuto» per l’uccisione dei tre ragazzi israeliani. «Tutte le organizzazioni palestinesi firmatarie del cessate il fuoco hanno condannato l’operazione», ha dichiarato.
La verità è molto più complessa. Nominalmente il triplice assassinio è stato rivendicato dalle Brigate Martiri Al Aqsa. In verità, secondo i servizi di sicurezza israeliani, dietro quella sigla si nasconderebbero le cellule di Hamas e della Jihad Islamica di Hebron interessate a colpire senza dimostrare di aver rotto l’impegno alla tregua. Secondo fonti militari israeliane, questo atteggiamento avrebbe contraddistinto tutti gli attentati messi a segno negli ultimi mesi da Jihad islamica e Hamas. L’attacco sembra voler dimostrare l’irrilevanza di un presidente presentatosi come garante della tregua con i gruppi armati. Una tregua che le milizie fanno capire di poter infrangere quando vogliono.
Secondo il viceministro israeliano della Difesa, Zeev Boim, l’imboscata mortale dimostra lo scarso impegno dell’Autorità nazionale palestinese nel tener sotto controllo i gruppi armati. Boim ha ribadito che in questa situazione è quasi impossibile far progressi sulla strada dei negoziati e ha escluso qualsiasi ritiro dell’esercito dalle città palestinesi della Cisgiordania. «In questo momento – ha detto il numero due della Difesa - non vedo come sia possibile trasferire le città a una sicurezza palestinese dimostratasi incapace di svolgere qualsiasi controllo».
Secondo i palestinesi, la decisione di congelare tutti i contatti e i negoziati si rivelerà controproducente.
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