Ma per Israele l’Inghilterra resta «perfida Albione»

R.A. SEGRE Per due minuti la «magnifica Albione», come l’hanno definita alcuni giornali, si è trasformata in una copia della «pietrificazione» annuale di un minuto con cui Israele commemora i suoi caduti. Ma le apparenze ingannano, perché pur riconoscendo il valore del comportamento inglese, per molti israeliani l’Inghilterra resta la «perfida» Albione. Quella di cui l’orientalista Elisabeth Monroe scrisse 50 anni fa di aver perduto il Medio Oriente essenzialmente per una perdita del controllo dei suoi nervi, causata dalle perdite subite nella prima guerra mondiale, dal desiderio di vivere in pace fra le due guerre, dal fascino esercitato su di lei da nemici con cui si voleva ma non si poteva negoziare: fascismo e marxismo.
Il pericolo di una nuova «perdita di nervi» britannica la stampa israeliana e parte della sua dirigenza credono di vederlo sia nel discorso di Blair che, dopo l’attacco terroristico di Londra, ha menzionato il conflitto palestinese come uno dei problemi che favoriscono il terrorismo internazionale, sia nell’insistenza della Bbc di voler chiamare i terroristi islamici «bombaroli» e quelli palestinesi «miliziani» o «guerriglieri». Il premier israeliano Sharon ha evitato ogni critica al discorso di Blair. Ma la violenza di alcuni commentatori israeliani mette in luce il persistente astio fra Londra e Gerusalemme, significativo anche per i rapporti tra Europa e Stati Uniti.
È un astio antico che origina da una prima insanabile rottura di fiducia provocata dalla pubblicazione del Libro Bianco con cui nel 1939 l’Inghilterra si rimangiava l’impegno di favorire la creazione di un «focolare nazionale» ebraico in Palestina, consegnava l’intero Paese ad uno Stato arabo (con l’esclusione di Gerusalemme e di basi militari nel Negev), proibiva l’immigrazione e l’acquisto di terre agli ebrei e chiudeva le porte della salvezza a centinaia di migliaia di ebrei intrappolati da Hitler. In seguito ci furono i sanguinosi dirottamenti di navi di rifugiati ebrei dalla Palestina, gli attacchi terroristici organizzati dalla polizia britannica contro i quartieri e le istituzioni ebraiche di Gerusalemme, il rifiuto posto dall’Inghilterra alla richiesta del presidente dell’Organizzazione sionista Chaim Weizmann di bombardare i forni crematori di Auschwiz, anche se i bombardieri colpivano le industrie lì intorno.
Israele non dimentica che fu ancora Londra a volere nel 1945 la creazione della Lega araba con l’immediata decisione di boicottare «l’entità sionista»; che nel 1948 l’offensiva militare della Legione araba transgiordana fu comandata da ufficiali inglesi; nel 1955 la creazione del Patto di Bagdad, ecc. A risvegliare questi asti antichi c’è l’ondata di anti-israelianismo nei media britannici che hanno portato all’espulsione da Gerusalemme del rappresentante della Bbc; l’aumento del 42% degli attacchi antisemiti contro istituzioni ebraiche inglesi; il recente tentativo fallito dell’Associazione degli universitari britannici di boicottare le università israeliane.
Nonostante l’esistenza di saldi rapporti economici, sociali e di intelligence fra i due Paesi, c’è ora il timore di un allineamento di Blair, come presidente di turno della Comunità europea, sulle posizioni tradizionalmente pro-palestinesi. C’è dissidio profondo fra il convincimento europeo (e britannico) che la soluzione del conflitto palestinese, attraverso concessioni unilaterali di Israele, porterebbe ad una diminuzione dell’estremismo islamico in Occidente mentre Israele (con gli Stati Uniti) è convinto che solo un cambiamento radicale dei regimi arabi possa aprire la strada alla pace. Per Israele non esiste un terrorismo buono con cui si può trattare, perché rappresenta una legittima guerriglia contro l’occupazione straniera, e un terrorismo cattivo irriducibile da combattere. L’odio di musulmani britannici radicali per la società liberale permissiva democratica inglese non ha nulla a che vedere con la questione palestinese e esisterebbe anche se Israele non esistesse.


Insomma c’è in Israele la paura che Londra con tutto il suo coraggio non si sia liberata dalla sindrome di Monaco. Quella che fece dire a Churchill ai Comuni nel 1938 rivolgendosi a Chamberlain: «Avete sacrificato alla speranza di pace con Hitler l’onore di questo Paese. Non avrete pace e non avrete più onore».

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