Italia, stasera serve vincere col Montenegro

Lippi ammette: "Dobbiamo fare di più in avanti. Bisogna vincere perché lo 0-0 di Sofia diventi un buon risultato". Il ct respinge le accuse di lippismo imperante: "A Nizza avevo i fucili puntati addosso, dopo Cipro mi avete processato. Io godrei di particolare benevolenza? Non me ne frega niente"

Italia, stasera serve vincere col Montenegro

Lecce - Altro che record, altro che doppiopesismo. Marcello Lippi è una pila elettrica e come nei giorni caldi del mondiale di Germania, si agita e sbotta, confeziona battute e rifila scudisciate. Segno palese della tensione che di solito divora le vigilie di appuntamenti delicati, snodi decisivi della stagione che deve portare a Sudafrica 2010. «Vogliamo fortemente vincere questa partita perché se ciò accadesse anche lo 0 a 0 di Sofia diventerebbe un risultato positivo. In caso contrario si trasformerebbero in due prove negative, io so come funziona la musica» è la sua premessa. Fulmini e saette, ecco la burrasca che arriva e che promette qualche titolo oltre che qualche duello rusticano coi cronisti riuniti a corte nelle viscere dello stadio leccese all'ora di colazione. Poche storie, allora. Contro il Montenegro, squadra giovane, «nazione giovanissima» secondo la definizione del ct, sostenuta dal genio di Vucinic e Jovetic ma indebolita da una difesa di burro, stasera l'Italia non può che vincere.
La febbre è relativa: 18 mila biglietti venduti (10 euro le curve e va bene, 33 euro le gradinate di qui i lamenti in città). «Dobbiamo fare qualcosa di più nel gioco d'attacco»: dentro la riflessione di Lippi c'è la consapevolezza di aver lucidato in Bulgaria l'organizzazione difensiva senza far brillare l'argenteria. Di qui la tentazione di mettere da parte Di Natale per liberare l'estro e la vivacità di Giuseppe Rossi, già lanciato nella mischia sabato scorso. Una sola avvertenza, da leggere con attenzione come nelle prescrizioni mediche. «Non c'è bisogno di lanciarsi in avanti alla garibaldina» sostiene Lippi che gioca anche con la storia («lanciando la stampella come fece Toti, non Totti» la battuta) per sentirsi a suo agio.

Perciò appena arriva la domanda sul record di Vittorio Pozzo da raggiungere questa sera (30 partite senza perdere, sia pure concentrate in due periodi storici diversi e non in sequenza come capitò invece al ct due volte campione del mondo), il ct si agita sulla sedia come tarantolato. «No, no, lasciamo perdere, parliamone dopo» invita deciso, per scarmanzia. Piuttosto il paragone, nobilissimo, può servire per stabilire la prima analogia tra i due, Pozzo e l'attuale condottiero azzurro: l'alpino piemontese si ispirò al patriottismo, il malmostoso viareggino al senso di squadra da inseguire con ostinata determinazione. «Quel che vale in economia, nello gestire l'attuale crisi finanziaria, vale anche nel calcio. Se non c'è un gruppo, compatto, dove tutti si mettono a disposizione e nessuno si sente primo attore, dove il leader nasce spontaneamente, è difficile raggiungere risultati impegnativi.

Esistono, nel calcio, squadre capaci di raggiungere in alcuni momenti picchi del 150% per poi scendere al 30%. Io lavoro per una nazionale che sia continua e che lavori sempre tra il 70 e l'80%» la sua piccola lezione. Sembra che parli a una classe di universitari o a uno stage di manager invece che a un crocchio di cronisti in attesa di Italia-Montenegro.

Il paragone con Pozzo lo inorgoglisce, quello, malandrino e indiretto, con Donadoni e l'accusa di doppiopesismo riferita alla critica italiana (tenera con lui, acida col bergamasco), gli fa perdere le staffe. «Io godrei di una particolare benevolenza? Non me ne sono accorto, ma quando è successo, di notte? E comunque non me ne frega niente» è la sua prima reazione, tutta pancia. «Mi interessano i risultati e le vittorie» la correzione. Che fa rima con un'altra riflessione. «Alla prima uscita, a Nizza contro l'Austria, avevo i fucili puntati. E al ritorno da Cipro fu processato il mio stellone» rievoca Lippi che ha sul petto la quarta stella del mondiale, ed è una medaglia che non può non pesare nella valutazione del suo lavoro, accurato, meticoloso, fatto di molti colloqui riservati (ieri con Aquilani scoperto immusonito e poco inserito nel gruppo) oltre che di schemi disegnati sul campo. Perciò alla fine di una mattina un po' così, Lippi può rifilare una stoccata anche al cronista romano che reclama informazioni sulla salute di De Rossi.

«È recuperato e può giocare con l'Inter» la frase del ct che capisce al volo dove vuole andare a parare l'interrogativo. Qui comandano l'Italia e la voglia di fare squadra. Per raggiungere il mito di Pozzo e liberarsi finalmente del paragone con Donadoni.

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